A Trump non interessa nulla né di Israele né dell'Ucraina, e si porta dietro tutto il Partito repubblicano
Le piroette dell'ex presidente americano sull’Iran, ai danni degli Stati Uniti e dello stato ebraico. I “dementi del cazzo” e un partito che ha abdicato ai propri valori con la sottomissione
La politica estera di Donald Trump è riassumibile in due pilastri: è tutta colpa di Joe Biden – la guerra in Ucraina ma pure il 7 ottobre in Israele – e se fossi stato io presidente tutto questo non sarebbe “mai” (maiuscolo) successo. Ora qualsiasi cosa il presidente faccia, a sostegno di Kyiv e in risposta all’uccisione di tre soldati americani in Giordania in seguito a un attacco di milizie legate all’Iran è da contrastare: Trump non entra nel merito, non pensa alla sicurezza nazionale o alla leadership americana nel mondo, ma nemmeno al proprio passato presidenziale: è contro, e pazienza se nel frattempo tradisce i princìpi fondativi del suo partito, del suo paese e dei suoi alleati.
Le convinzioni di Trump fanno il paio con la “grande bugia” secondo cui Biden non ha vinto le elezioni, con la rivolta “patriottica” del 6 gennaio 2021 (l’assalto violento al Congresso), con la capacità di Trump contemporaneamente di non creare conflitti e di risolverli con la sola sua presenza (o imposizione delle mani, è uguale) e di tenere in bilico i propri alleati, che devono conquistare il suo appoggio volta per volta. Come? Con la fedeltà. Per informazioni chiedere al Partito repubblicano che ha deciso che la propria sopravvivenza passa attraverso la sottomissione a Trump senza condizioni, col rischio di guadagnarci al limite soltanto sei mesi senza insulti o rappresaglie. Meglio di niente no? Fosse questo un problema solo dei conservatori americani, potremmo anche non occuparcene. Ma questa sottomissione mette a repentaglio la sicurezza globale e la tenuta degli alleati dell’occidente. Che detto in altri termini significa: vincono le dittature.
Sull’Ucraina sappiamo già tutto. I repubblicani tengono fermi gli aiuti a Kyiv da più di cento giorni per cercare di ottenere misure restrittive potenti sull’immigrazione in America. Più passa il tempo, più questa analisi non regge: Biden e i democratici sono disposti a qualsiasi compromesso pur di sbloccare i 60 miliardi di dollari che servono agli ucraini per difendersi dall’aggressione russa (aggressione indefessa e arbitraria), ma non basta. Forse nulla basta, perché non c’è alcuna ragione per i repubblicani di accordarsi con i democratici e di far segnare loro un punto in un anno elettorale. Ma gli ucraini muoiono intanto: pazienza, appena arrivo io, dice Trump, sistemo tutto. Non solo il Partito repubblicano è sottomesso a Trump, ma lo sono anche la leadership e il sostegno che garantiscono la difesa e la sicurezza di tutti noi.
Sull’Iran, l’opportunismo sciagurato dei trumpiani si vede limpido. Quando era presidente Trump ha deciso il ritiro dell’America dall’accordo sul programma nucleare di Teheran; ha ordinato l’assassinio di Qassem Suleimani, il leader che esportava la rivoluzione islamica degli ayatollah in medio oriente; ha avviato gli accordi di Abramo che sono un modo per coinvolgere il mondo arabo a discapito dell’Iran; ha riempito la sua Amministrazione di falchissimi sull’Iran che, in quel cortocircuito permanente che è stata la presidenza Trump, hanno talvolta dovuto trattenere il loro capo che, a giorni alterni, era persino più falco di loro. Ma oggi Trump, di fronte alla decisione drammatica che deve prendere Biden dopo che le milizie sponsorizzate da Teheran hanno ammazzato tre soldati americani in Giordania, dice: calmi, aspettate di rieleggere me che sistemo tutto, Biden fa solo danni e causa guerre. I trumpiani se la prendono anche con gli sparuti repubblicani che continuano a credere che la deterrenza sia da conservare. Valga per tutti la definizione che ne ha dato Tucker Carlson: “Fucking lunatics”, dementi del cazzo. Fino a poche settimane fa, i trumpiani dicevano che Biden era stato troppo morbido con l’Iran e aveva messo a repentaglio l’esistenza di Israele. Ora dicono che se Biden reagisce colpendo obiettivi iraniani fa l’ennesima idiozia. Ancora una volta: conta la rielezione di Trump, al costo di scongiurare un sostegno al governo democratico, e agli alleati dell’America.
Ne paga le conseguenze anche Israele, che pure nella retorica trumpiana se la passa meglio dell’Ucraina. I soldi bloccati al Congresso comprendono anche gli aiuti a Israele (l’economia civile del paese è al collasso). I repubblicani sono sempre stati d’accordo sul fatto di scorporare questi fondi da quelli destinati all’Ucraina, a ennesima riconferma che hanno un’ostilità specifica nei confronti degli ucraini, ma anche con Israele hanno voluto infilarci una priorità elettorale e domestica: 14 miliardi di dollari per Israele da prelevare dal budget dell’Agenzia delle entrate, annullando il piano di sburocratizzazione in corso per rendere più agevole e controllato il pagamento delle tasse, una cosa che dovrebbe piacere ai cultori degli anti establishment, e invece.
La sottomissione a Trump è pressoché completa. La sicurezza internazionale è a rischio, gli alleati dell’America sono a rischio, il ruolo dell’America nel mondo è a rischio. Persino Biden, che pure sembrava in grado di prendere le misure al trumpismo, ha sottovalutato la volontà dei repubblicani di consegnarsi a Trump: a saperlo, probabilmente avrebbe garantito a Kyiv un maggior sostegno in tempo utile. Era convinto, come a parole lo erano gli stessi repubblicani, che non ci sarebbero state differenze e rampogne sul sostegno a un paese aggredito senza ragione dalla Russia. Ma il Partito repubblicano ha abdicato ai propri valori, barattandoli per la cosa più incerta che c’è: la protezione di Trump.