Numeri e prospettive
Il pil russo sale. Ma l'economia di Putin non è affatto in buona salute
Il Fmi stima una crescita del 2.6 per cento. Tuttavia, “la combinazione di spesa militare, carenza di manodopera, e l’aumento di salari e sussidi ha creato un’illusione di benessere che non durerà”, spiega Prokopenko, economista ed ex consigliera della Banca centrale russa fino al 2022
Nell'ultimo World Economic Outlook il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le prospettive per la crescita globale, con previsioni ottimistiche anche nel caso della Russia, il cui Pil quest’anno dovrebbe crescere del 2,6 per cento grazie al boom della spesa militare.
Numeri che soddisferanno i desideri di Vladimir Putin e dei suoi ammiratori in occidente, mentre gli esperti si chiedono se l’economia russa riuscirà a reggere un altro anno di “surriscaldamento” trainato dalle spese militari, e da un dirigismo statale che per certi aspetti rievoca i tempi sovietici.
Tecnicamente la Russia ha chiuso il 2023 in modo positivo: crescita del 3,5 per cento; disoccupazione al minimo storico del 2,9 per cento; un rublo più forte rispetto al crollo dell’estate scorsa. Resta alta l’inflazione, con un dato ufficiale del 7,5 per cento che diventa molto più alto sui beni di prima necessità, come nel caso delle uova, aumentate del 46,2 per cento in un anno. Un fallimento riconosciuto dallo stesso Putin, che ha promesso di porvi rimedio.
Una performance che può far dubitare dell’efficacia delle sanzioni, ma è una lettura superficiale, poiché non significa che il sistema economico della Russia sia solido. Come spiega Alexandra Prokopenko, economista consigliera della Banca centrale russa fino a inizio 2022 (oggi vive all’estero), l’economia russa non è affatto in buona salute e le sanzioni occidentali stanno funzionando, anche se non velocemente come vorrebbero i governi che le hanno introdotte.
Secondo Prokopenko la Russia sta tornando gradualmente a ciò che appariva nel tardo periodo sovietico, quando il mercato dei consumi interni era dominato da imprese private mentre tutto il resto (compreso il commercio estero) era ampiamente controllato dal Cremlino, che cercava affannosamente di aumentare l’output del settore della difesa e garantire la stabilità sociale con diverse forme di sussidio.
“Piuttosto che segnalare la salute dell’economia, la crescita russa è sintomatica di un surriscaldamento”, scrive Prokopenko in un’analisi per la rivista Foreign Affairs, sottolineando che nel lungo periodo le spese militari di Mosca potrebbero compromettere la stabilità macroeconomica. “La combinazione di spesa militare, carenza di manodopera, e l’aumento di salari e sussidi ha creato un’illusione di benessere che non durerà”.
La crescita del 2023 infatti è stata alimentata dalla cifra record di 32mila miliardi di rubli di spesa pubblica, per la maggior parte destinata alla difesa. La produzione industriale è cresciuta del 3,6 per cento; il manifatturiero del 7,5 per cento; la produzione legata al settore militare-industriale è aumentata con tassi a due cifre diventando sempre più importante, con fabbriche che lavorano a ciclo continuo su tre turni al giorno.
L’aumento della domanda di manodopera a fronte di una carenza generale di risorse umane (anch’essa legata alla guerra) ha portato ad aumenti salariali a doppia cifra, alimentando una spirale prezzi-salari che nel caso della Russia significa aumentare una domanda di beni esteri – comprati con una valuta debole come il rublo – non soddisfatta dal settore militare-industriale, che non trasmette a sufficienza capitali e produzioni al settore civile.
Per “raffreddare” questo boom economico distorto la Banca centrale russa della governatrice Elvira Nabiullina ha chiuso il 2023 con un aumento dei tassi di interesse al 16 per cento, concedendosi così lo spazio di manovra per ridurli gradualmente. Tuttavia, anche se nel corso del 2024 scenderanno si prevede che resteranno comunque tra il 12,5 e il 14,5 per cento, confermandosi come un chiaro indicatore della realtà, poiché le economie sane non hanno tassi d’interesse a due cifre.
Nel frattempo i paesi occidentali affilano la strategia sanzionatoria in funzione del lungo periodo. A dicembre gli Stati Uniti hanno introdotto le temute sanzioni secondarie, prendendo di mira le importazioni parallele che consentono alla Russia di accedere alla tecnologia a duplice uso (militare e civile) con cui costruire gli armamenti più avanzati, mentre si rafforzano i controlli per far rispettare le attuali sanzioni sul petrolio, riducendo per quanto possibile le entrate di Mosca.
La realtà è che le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina hanno messo a dura prova i pilastri della stabilità macroeconomica russa, mentre i problemi strutturali esistenti vengono gravemente esacerbati dalla guerra. Anche se il conflitto dovesse finire nel 2024 sarà un compito titanico riportare l’economia sui settori civili, e più la Russia diventa dipendente da questa militarizzazione, più sarà difficile tornare indietro.