I testardi di Kyiv
Il presidente Zelensky e il generale Zaluzhny tengono il punto e restano divisi: ma hanno entrambi ragione
Il “carattere ucraino” che ora impedisce ai due di fare la pace è lo stesso che ha salvato il paese quasi due anni fa
Sui muri del Donbas libero campeggia il volto di Valery Zaluzhny, lo hanno impresso i soldati con la vernice in bomboletta spruzzata contro un cartoncino su cui è ritagliato il ritratto del generale. Il capo di stato maggiore ucraino è molto rispettato dai suoi uomini, che considerano una cattiva notizia i litigi pubblici tra Zaluzhny e il presidente Volodymyr Zelensky. L’Ucraina è una democrazia e sa che quando c’è un’incomprensione forte tra il capo del potere civile e il capo del potere militare è il secondo a doversene andare. I soldati sono dispiaciuti perché l’ipotesi che il loro leader dia le dimissioni o venga licenziato adesso è concreta. Zelensky aveva chiesto a Zaluzhny di lasciar perdere gli editoriali sulle testate internazionali e di lasciar fare a lui la comunicazione interna ed esterna – rivolta agli alleati – della guerra. Lunedì Zelensky ha quasi licenziato Zaluzhny, e due giorni fa il generale ha pubblicato un suo editoriale sul sito della Cnn.
L’Ucraina, che non è la Russia, preferirebbe non costringere i maschi adulti che non vogliono combattere a farlo. E quando Zaluzhny parla della necessità di reclutare 500 mila nuovi soldati si riferisce a mezzo milione di uomini tra quelli che non vogliono andare al fronte, perché quelli disposti a farlo sono già tra le file dell’esercito come volontari. Il generale parla con cognizione di ciò che serve sul campo, ma Zelensky replica: una grande mobilitazione forzata è il genere di cosa che può creare problemi interni, eventualmente una protesta, che farebbe felicissimo Vladimir Putin: è un tema molto politico, devi lasciarlo gestire a me.
Anche il licenziamento di Zaluzhny però farebbe contento Putin. L’irritazione di Zelensky nei confronti del capo delle Forze armate è antica ma è diventata pubblica in un momento preciso. Il primo novembre, in un editoriale sull’Economist, Zaluzhny ha pronunciato per la prima volta in assoluto la parola “stallo”. Il generale ha il merito di aver portato nel dibattito i problemi, l’ammissione che era diventato impossibile avanzare e la questione spinosa della mobilitazione. Lo ha fatto con pragmatismo perché chi guarda la guerra da vicino sa meglio degli altri che dalla realtà non si scappa e prima la si affronta meglio è. Qualcuno doveva ammettere che la controffensiva estiva era finita e non era arrivata dove sperava di arrivare (alla città di Melitopol), ma non è stato Zelensky a scegliere i tempi e i modi e sul termine “stallo” si è consumato il primo litigio in pubblico tra i due.
Zaluzhny è un decisionista (chi, in guerra, vorrebbe un capo di stato maggiore titubante?) e ha un brutto carattere. Durante la controffensiva gli americani gli dicevano: non devi disperdere le forze su tre direttrici di attacco, devi concentrarti su una sola! Zaluzhny replicava che se avesse fatto pressione su un punto solo i nemici si sarebbero concentrati tutti lì, che la tecnologia aveva trasformato il campo di battaglia molto più di quanto i war game degli Stati Uniti avessero previsto. E, infastidito, aveva smesso per settimane di rispondere al telefono al generale americano che dirige le forze in Europa.
Il brutto carattere che rende Zelensky e Zaluzhny troppo testardi e troppo convinti delle proprie ragioni per fare davvero la pace è lo stesso carattere che ha permesso loro di tenere unito un paese e un esercito e di fermare l’avanzata russa. E’ lo stesso carattere con cui Zelensky e Zaluzhny risposero risoluti alla telefonata di Joe Biden che offriva un passaggio per scappare nel febbraio del 2022. Il Pentagono aveva previsto la capitolazione di Kyiv in due o tre giorni e se Zaluzhny non fosse capace di andare contro i consigli americani oggi l’Ucraina politica avrebbe un governo in esilio in Polonia e quella geografica sarebbe tutta di Putin.
C’è molto rumoreggiare sui sondaggi che vedono il consenso personale di Zelensky più basso di quello di Zaluzhny, ma è impossibile paragonare chi governa in tempo di guerra da quasi due anni a chi non ha mai dovuto prendersi responsabilità politiche, e ha vissuto più lontano dai riflettori, dalle domande e dalle accuse. Il presidente in carica non sa fare il lavoro di Zaluzhny, e forse il generale non ha la presunzione di credere di saper fare il lavoro del presidente: uno che blocca le telefonate dagli Stati Uniti potrebbe non essere il più adatto a gestire le conversazioni, che possono essere molto frustranti, con quegli alleati che però sono indispensabili.
Secondo gli ufficiali sentiti dal Washington Post, i due “semplicemente non si fidano più l’uno dell’altro” e non ci sono molte speranze di ricomporre la spaccatura. Nell’editoriale sul sito della Cnn, Zaluzhny ripeteva alcuni temi su cui aveva già insistito in passato come la trasformazione copernicana del campo di battaglia dovuta ai droni, spiegava che l’Ucraina si deve abituare a resistere senza tutte le munizioni occidentali che ha ricevuto finora e tornava sulla mobilitazione dicendo: “Il nemico ha un vantaggio perché può richiamare molti uomini mentre le istituzioni ucraine sono incapaci di farlo senza adottare misure impopolari”. Il solo fatto di aver pubblicato un editoriale, quando il presidente aveva chiesto di evitarlo e il primo litigio era nato da un evento identico – sulle colonne dell’Economist invece che su quelle della Cnn – è sembrata una provocazione: il modo del testardo Zaluzhny di tenere il punto. Secondo fonti ucraine la rimozione del capo di stato maggiore dovrebbe arrivare entro la prossima settimana, ma c’è ancora un piccolo spiraglio: dipende tutto dal testardo Zelensky.