Oltre la controffensiva

L'Ucraina sta vincendo la battaglia per il Mar Nero

Paola Peduzzi

Gli ucraini hanno costretto la flotta russa, che ha perso circa il 20 per cento dei suoi mezzi, a ripararsi e hanno reso florido il corridoio umanitario del grano

I media internazionali si concentrano da mesi sulla controffensiva ucraina malriuscita, sui rapporti personali dentro la leadership di Kyiv, sull’affaticamento internazionale e le crepe nell’unità occidentale, ma gli “sviluppi più dinamici” e più concreti, scrive l’Atlantic Council, di questa guerra non ci sono stati sui mille chilometri di fronte tra le forze ucraine e quelle russe (qui è il momento in cui bisogna ricordare che gli ucraini sono stati costretti a difendersi e che la guerra l’ha voluta e la vuole Vladimir Putin) ma sul mare. Pur non avendo nemmeno una nave da guerra, gli ucraini sono riusciti a costringere la Russia a riorganizzare la sua flotta nel Mar Nero e a spezzare il blocco navale imposto dai russi ai cargo di  prodotti agricoli ucraini diretti a sud. L’affondamento della portamissili Ivanovets a nord di Sebastopoli, in Crimea, è l’ultimo risultato di questa campagna marina.

Questo colpo ha un significato ancora più ampio se si ricorda che nel luglio dello scorso anno l’Ivanovets aveva lanciato dei missili contro un cargo ucraino come “ammonimento” all’interno di una non ben identificata esercitazione russa: Putin aveva dichiarato che le navi cargo ucraine erano considerate obiettivi militari. Come è noto, l’accordo sul grano che prevedeva il passaggio dei cereali ucraini nel Mar Nero e che è finora l’unico negoziato che per un breve periodo di tempo e con parecchie violazioni (le bombe russe sui porti ucraini) è stato trovato con la Russia – fino a che la Russia non ha deciso di farlo collassare, ripristinando un brutale e unilaterale blocco navale.

Putin era talmente convinto che il mare fosse la sua risorsa strategica che aveva iniziato il blocco due settimane prima dell’invasione di terra del 24 febbraio 2022 annunciando le solite non ben definite esercitazioni. L’Ucraina ha smontato questa convinzione pezzo a pezzo, molto più di quanto sia riuscita a farlo sul fronte a terra: subito dopo l’invasione russa, l’Ucraina impedì uno sbarco anfibio – sull’Isola dei Serpenti, il famoso “go fuck yourself” detto dagli ucraini agli uomini della Moskva che volevano sbarcare  –  e poi fermò l’accerchiamento russo di Odessa, distruggendo  l’ammiraglia Moskva e imponendo così un cuscinetto di circa 180 chilometri nella parte nord-occidentale del Mar Nero.

La terza fase di questa strategia è stata completata nel 2023, grazie alla campagna di missili e droni che ha colpito le navi da guerra russe: secondo i numeri forniti da Kyiv, sono state distrutte almeno 22 delle 80 navi da combattimento operative della flotta russa e  danneggiate altre 13. Circa il 20 per cento della flotta russa nel Mar Nero è andata distrutta grazie ai missili britannici e francesi forniti a Kyiv e soprattutto alla capacità delle forze ucraine di espandere la produzione interna di droni. Ora neppure il litorale orientale della Crimea è considerato sicuro da Mosca: le navi migliori si riparano a Novorossiysk, a seicento chilometri, dall’altro lato del Mar Nero.

La ritirata navale dei russi ha permesso all’Ucraina di porre fine al blocco e di far funzionare il corridoio umanitario (è definito così perché da questa rotta passano i mezzi che esportano ai paesi del sud del mondo che dipendono da queste forniture) per le navi cargo. Il 19 settembre scorso – come racconta Steve Carroll sull’Economist questa settimana – il cargo Resilient Africa ha lasciato il  porto  Chornomorsk di Odessa, la prima nave a utilizzare il nuovo corridoio, che passava nelle acque più basse al sicuro dai sottomarini russi e abbastanza vicino alla costa da essere protetto dall’artiglieria. Gli ucraini erano convinti che potesse funzionare, ma c’è voluto un po’ per convincere anche gli altri interlocutori: le minacce di Putin sono sempre state forti e credibili. Secondo i dati ucraini, i numeri dell’esportazione dei cereali sono tornati quasi al livello pre guerra, ha sorpassato il volume massimo che era stato consegnato quando c’era l’accordo negoziato dalle Nazioni Unite e dalla Turchia e ha contribuito a finanziare l’economia ucraina devastata dalla guerra di Putin. Secondo il ministero dell’Economia ucraina, lo sblocco del Mar Nero permetterà di aggiungere almeno 3,3 miliardi di dollari in esportazioni quest’anno, aumentando dell’1,2 per cento la crescita del pil.

In questi giorni, gli agricoltori ucraini erano sulla bocca di tutti in Europa, non certo per i successi conseguiti nel Mar Nero. Sono indicati come un flagello da parte degli agricoltori europei che protestano in molti paesi dell’Unione e la Commissione europea ha deciso di rivedere le regole che hanno finora aiutato le esportazioni ucraine. Il ministero dell’Agricoltura ucraino ripete sommessamente: vi ricordiamo che noi siamo in guerra, produrre ed esportare è un’attività difficile e vitale. Sulle tv francesi, alcuni studiosi interpellati sulla rabbia degli agricoltori verso gli ucraini, in particolare il pollo ucraino, hanno detto che è difficile stimare il “danno” dei prodotti agricoli provenienti dall’Ucraina sul mercato europeo e che se c’è qualcuno che lo vuole sovrastimare è certamente Putin.

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi