Europa Ore 7
Il veto è andato, Orbán rimane
Il presidente ungherese conserva tutto il suo potere dirompente dentro le istituzioni dell'Ue per sabotare l'Ucraina e l'unità del fronte occidentale di fronte alla minaccia della Russia
La velocità con cui Viktor Orbán ha rinunciato al veto durante il Consiglio europeo straordinario del primo febbraio ha sorpreso diplomatici, giornalisti e osservatori. Dopo aver preso in ostaggio l'Unione europea per un mese e mezzo su un pacchetto di aiuti finanziari da 50 miliardi di euro per l'Ucraina e la revisione del quadro finanziario pluriennale, il premier ungherese ha accettato in pochi minuti l'accordo che era già stato raggiunto a ventisei il 15 dicembre. Orbán ha ceduto dopo giorni di negoziati fatti di minacce e lusinghe. Emmanuel Macron e Giorgia Meloni hanno giocato il ruolo di poliziotti buoni. Donald Tusk e Kaja Kallas quelli di poliziotti cattivi. Giovedì mattina, in una riunione a sei con Charles Michel, Ursula von der Leyen, Olaf Scholz, Macron e Meloni, Orbán ha capitolato. In cambio non ha ottenuto nulla di concreto, se non una vaga promessa che la Commissione sarà meno rigida nel valutare le riforme per sbloccare i fondi congelati per lo stato di diritto. “Orbán ha capito che la corda si era rotta”, ci ha detto un diplomatico. I ventisei erano pronti a usare l'opzione nucleare – l'articolo 7 del trattato – per privarlo dei diritti di voto e dei fondi dell'Ue, sabotando l'economia ungherese. Ma, se il veto è sull'Ucraina è andato, Orbán rimane.
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Orbán conserva tutto il suo potere dirompente dentro le istituzioni dell'Ue per sabotare l'Ucraina e l'unità del fronte occidentale di fronte alla minaccia della Russia. Tornato a Budapest, il premier ungherese si è inventato una scusa per giustificare la sua marcia indietro. Secondo Orbán, gli altri leader erano pronti a trasferire a Kyiv i fondi europei allocati all'Ungheria. Cosa più grave, il suo partito Fidesz ha deciso di ritardare ulteriormente la ratifica dell'ingresso della Svezia nella Nato. L'opposizione era riuscita a far convocare per oggi una sessione parlamentare speciale per passare alla ratifica. Ma, secondo la televisione Atv, i deputati di Orbán boicotteranno la seduta, facendo venir meno il numero legale e impedendo l'approvazione. Fidesz non vuole consentire il voto fino a quando non ci sarà una visita a Budapest del premier svedese, Ulf Kristersson, invitato da Orbán per mostrare la sua capacità di nuocere. La sessione ordinaria del Parlamento ungherese è prevista solo alla fine del mese.
Dentro l'Ue l'Ungheria sta soffiando sul fuoco della collera degli agricoltori per rivoltarli contro l'Ucraina. Nel fine settimana, il ministero dell'Agricoltura ha annunciato il sequestro di 40 tonnellate di mais in provenienza dall'Ucraina, sostenendo che sono contaminati con ogm. Nonostante le concessioni fatte dalla Commissione sulle restrizioni per i prodotti agricoli ucraini, Budapest intende mantenere l'embargo unilaterale in violazioni delle regole dell'Ue. L'Ungheria frena anche sulle sanzioni contro la Russia. La Commissione sta preparando il tredicesimo pacchetto in occasione del terzo anniversario dell'inizio dell'invasione, il 24 febbraio. Pubblicamente e privatamente, il governo Orbán ha già detto di non voler sanzionare società cinesi o turche che permettono alla Russia di eludere le sanzioni. L'Ungheria conserva poi il diritto di veto sul prossimo passo del processo di adesione dell'Ucraina: l'apertura formale dei negoziati in una conferenza intergovernativa. Infine Orbán blocca dallo scorso marzo l'ottava tranche da 500 milioni della European Peace facility per finanziare le forniture di armi.
Orbán non è l'unico problema che l'Ue deve affrontare sull'Ucraina. Le istituzioni e gli stati membri hanno fatto molte promesse che non sono stati in grado di mantenere, come il piano per fornire un milione di munizioni a Kyiv entro la fine di marzo (l'obiettivo sarà raggiunto alla fine del 2024). Secondo Politico.eu, la Repubblica ceca ha trovato 450 mila proiettili d'artiglieria che potrebbero essere comprati da paesi extra Ue. Ma serve l'unanimità per decidere di comprarle insieme a livello dell'Ue e le regole previste dal piano di munizioni prevedono di privilegiare l'industria europea. Sul Foglio spieghiamo che il “Buy European” promosso dalla Francia sarà il prossimo terreno di scontro, dopo che i leader hanno dato la benedizione a una riforma della European Peace Facility per passare dalla logica del destoccaggio a quella degli acquisti congiunti per l'Ucraina.
I piccoli calcoli politici nazionali prevalgono anche in altri settori. L'Ucraina è stata sacrificata da Ursula von der Leyen per calmare la collera degli agricoltori. Nonostante le restrizioni potenziali su polli, uova e zucchero – i tre prodotti che interessavano la Francia – Macron è sempre più aggressivo a parole contro le importazioni agricole ucraine. Dopo aver raddoppiato gli aiuti militari a Kyiv nel 2024 (8 miliardi), Scholz ha criticato gli altri stati membri che non stanno facendo abbastanza. Ma il cancelliere tedesco non ha ancora accettato di fornire i missili a lunga gittata Taurus. L'Ungheria non è l'unica a ostacolare la lotta all'elusione delle sanzioni contro la Russia. Anche Germania, Francia e Italia si oppongono a sanzionare paesi come Cina e Turchia che chiudono gli occhi di fronte alle loro società che aggirano le misure restrittive. A quasi tre anni dalla guerra, l'Ue non si è ancora resa conto di essere in guerra.