Il metodo dello stallo
Trump affossa il pur fragile accordo trovato al Congresso sui fondi a Kyiv
I senatori hanno annunciato un testo concordato da sottoporre al voto che comprende la riforma dell'immigrazione. Ma l'ex presidente dice: è "orrendo", "è un regalo ai democratici". Un partito sordo agli appelli della Nato, a quelli europei e ai suoi stessi valori
E’ stato trovato un accordo al Senato americano sull’immigrazione e quindi sugli aiuti all’Ucraina – il Partito repubblicano dal novembre scorso ha subordinato i fondi per la difesa di Kyiv alla questione migratoria – ma non piace a Donald Trump, ex presidente che con tutta probabilità sarà candidato alle elezioni di novembre, e quindi è già mezzo fallito. Il Partito repubblicano ha deciso di sottomettersi al suo possibile candidato presidenziale e se Trump dice che questo accordo “è un regalo ai democratici”, non conta nient’altro. Anzi, i repubblicani giocano d’anticipo: molti senatori mugugnano da quando c’è stato l’annuncio dell’accordo, domenica, e lo speaker repubblicano della Camera, Mike Johnson, ha già scritto la sentenza di condanna: così com’è, questo accordo nel suo Congresso a trazione repubblican-trumpiana non sopravviverà.
Il pacchetto da 118 miliardi di dollari include 60 miliardi per l’Ucraina e 14 per Israele, oltre che uno stanziamento da 10 miliardi per l’assistenza umanitaria a Gaza, in Cisgiordania e altrove. La riforma dell’immigrazione prevede 20 miliardi di dollari per i trasporti dei migranti che vengono rimandati nei loro paesi d’origine, strutture di accoglienza temporanea, più di quattromila nuovi funzionari che si occupano di valutare le richieste di asilo accorciando i tempi (dai dieci ai quindici giorni di controlli al confine e poi 90 giorni di tempo per una decisione sull’asilo), più guardie al controllo del confine sud che si occupano degli immigrati illegali e del traffico di fentanyl. Se l’arrivo di migranti illegali supera una certa soglia – cinquemila persone in un giorno – l’espulsione sarà immediata (nei picchi di dicembre, gli ultimi registrati, sono arrivate anche diecimila persone in un giorno: si tratta di un record): questa è una misura straordinaria che sarà sospesa quando ci sarà un crollo significativo degli ingressi giornalieri.
Ma per Trump si tratta di “un orrendo disegno di legge” e il suo messaggio ai repubblicani al Congresso è lo stesso da settimane: non votate niente che possa aiutare l’Amministrazione Biden. Si salva in parte l’aiuto a Israele: la Camera vuole scorporare questi fondi e votarli separatamente. Ci aveva già provato a fine 2023 ma avendo infilato anche qui una questione di politica interna – tagli all’Agenzia dell’entrate – non si era trovata una maggioranza. Ora questi tagli sono stati levati e quindi le possibilità per questi aiuti sono più alte.
L’offensiva pro Ucraina a Washington che è stata fatta la settimana scorsa dal segretario della Nato, Jens Stoltenberg, e dal suo predecessore Anders Fogh Rasmussen non è servita a nulla. Stoltenberg è andato addirittura a parlare nella casa del trumpismo anti ucraino, l’Heritage Foundation, il centro studi che prepara i funzionari dei governi repubblicani e che li sta formando tutti in chiave isolazionista, dicendo che la difesa dell’Ucraina è nell’interesse nazionale americano, che è un colpo alla Cina (i repubblicani sono sensibili al tema) e che l’industria e i lavoratori americani guadagnano dal rifornimento di armi a Kyiv. Ma non è servito a nulla: possiamo forzare la mano di Biden e lo faremo, gli hanno detto esponenti del Congresso. Il cinismo brutale di tale scelta politica si riconosce in ogni immagine e in ogni bollettino di morte che arriva dall’Ucraina devastata da Putin: c’è chi inizia a dire, forse in modo troppo speranzoso, che gli elettori americani se ne accorgeranno.