propaganda fredda

Cosa rende Carlson tanto riconoscibile per i russi? Accendete la tv

Micol Flammini

C’è un rapporto simbiotico tra i media russi e il presentatore americano che si aggira per Mosca. È un'utilissima bussola e lascia intendere di avere appuntamento al Cremlino

Qualsiasi messaggio i media statali russi vogliano far diventare propaganda, Tucker Carlson ha il potere di  farlo meglio. C’è un rapporto simbiotico tra i propagandisti del Cremlino e il presentatore americano che in questi giorni si trova a Mosca e quando gli viene domandato se davvero intervisterà Vladimir Putin, ammicca, sorride, lascia intendere che se non lui, chi altro può farlo. Il Cremlino ha preferito non commentare, e per il momento Carlson si aggira per Mosca dicendo che aveva sentito così tanto parlare della capitale russa che non poteva non andare a vedere con i suoi occhi come vivono e cosa pensano i suoi cittadini. Per i media russi Carlson è fonte di ispirazione, tanto che alcuni spezzoni del Tucker Carlson Network vengono ripresi di frequente dalle trasmissioni di propaganda e, quando il conduttore ha lasciato Fox News, si sono occupate del tema con una passione meticolosa. 

 

I programmi che vanno in onda sui canali di stato russi hanno gridato alla censura dell’unico giornalista americano – forse dell’unico americano – che avesse avuto il coraggio di predire quanto sarebbe costata cara agli Stati Uniti la difesa dell’Ucraina. Il caso era doppiamente utile: serviva a mostrare ai russi che gli Stati Uniti silenziano giornalisti e  non hanno il diritto di dare lezioni di libertà e, allo stesso tempo, che  era proprio un americano a dire che la difesa di Kyiv era una pessima idea. In Carlson la Russia vede un elemento di divisione e il presentatore sembra prestarsi volentieri al ruolo, si è calato in questa temperie di attesa spasmodica che i media del Cremlino nutrono più per le elezioni americane che per quelle russe del prossimo 17 marzo. 


In Russia Carlson è estremamente utile, ed è anche una bussola: capisce bene dove si trovano i punti di frattura della società americana e il suo lavoro è una segnalazione costante per la propaganda russa dai tempi della pandemia. Ma Carlson è anche ispirazione: nel 2022, quando, non di sorpresa, iniziarono a diffondersi le ricostruzioni false sui laboratori di armi biologiche in Ucraina, la teoria del complotto viveva nei gangli delle cospirazioni americane, che però avevano avuto un loro punto di partenza proprio in Russia. Si trattava di una campagna di disinformazione che addirittura Mosca aveva accantonato e che, prima di essere ripresa da funzionari russi anche autorevoli, come il ministero della Difesa, era stata insinuata proprio dal conduttore americano. Anche se non voluto – Carlson non ha mai autorizzato i programmi russi a usare il suo lavoro – lo scambio tra il presentatore e i media del Cremlino è assiduo e molto stretto. Da quando Carlson è arrivato in Russia, circolano video di cittadini che lo fermano per fargli i complimenti, si congratulano, lo salutano, lo rincorrono. Si tratta anche di video registrati ad hoc, uno realizzato da un giornalista di Izvestia, ma se il presentatore è tanto riconoscibile per la capitale russa, è perché è una presenza fissa dei salotti propagandistici. La sua utilità è preziosa per il Cremlino e non sarebbe strano se il presidente russo decidesse davvero di ricompensarlo con la prima intervista rilasciata alla stampa internazionale dal 24 febbraio. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)