Da Kyiv a Firenze
Splendida Ucraina. Fotografare la bellezza minacciata dalla guerra
“Firenze-Kyiv e ritorno”. Alla mostra di Massimo Listri a Palazzo Vecchio in azione le supreme forme del bello
Dell’Ucraina non sapevo niente. Capisco che possa suonare strano, forse pure incredibile, ma due anni di guerra anziché spingermi ad approfondire mi hanno distolto lo sguardo da qualsiasi accadimento fra Carpazi e Urali. Perché odio la guerra e ho una conseguente, credo coerente repulsione anche per le notizie eruttate dalla guerra. Quindi le pagine sul conflitto russo-ucraino le ho spesso scavalcate a piè pari. Avevo pensato di rivolgermi alla letteratura, come faccio sempre in questi casi. Riguardo l’ultima fiammata dell’eterno conflitto arabo-israeliano, oltre alla Bibbia, perennemente attuale, mi sono letto un romanzo dell’ebreo Yoram Kaniuk e una raccolta di articoli, fra giornalismo e diario, dell’arabo Sayed Kashua, e mi sono convinto di avere capito. Che cosa non ve lo dico, o almeno non ora, vediamo più avanti. Ma dove sono i libri che possono far capire l’Ucraina odierna? Esistono scrittori ucraini viventi tradotti in italiano? Sì e no. Ci sarebbe Peter Pomerantsev che però vive all’estero dall’età di un anno: ha studiato a Edimburgo, scrive in inglese, risiede a Londra. E poi ha scritto libri sulla Russia, non sull’Ucraina. Ci sarebbe Ilya Kaminsky che però se n’è andato a quindici anni, è cittadino americano, usa pure lui l’inglese e inoltre ha la colpa di scrivere poesie. Ci sarebbe Serhij Zhadan che però ambienta i suoi libri negli anni Novanta e a me il modernariato rattrista. Allora tanto vale tenersi i virgolettati di Solženicyn, ancora più datati ma almeno di Solženicyn…
Insomma dell’Ucraina non sapevo niente. Fino a quando mi è arrivato il catalogo della mostra “Firenze-Kyiv e ritorno” di Massimo Listri che apre oggi a Palazzo Vecchio. Cosa ha fatto il grande fotografo nella capitale ucraina? Ha fatto Massimo Listri, ossia l’esteta. Perfettamente vestito come sempre (è uno degli uomini più eleganti d’Italia), sprezzante degli allarmi aerei, non ha fotografato la guerra ma la bellezza minacciata dalla guerra: cattedrali, musei, teatri, palazzi, biblioteche, monasteri… Tutto parecchio europeo, europeo-occidentale, tranne Santa Sofia che è decisamente bizantina. Ad ogni modo nulla di asiatico. Per dire, la chiesa barocca di Sant’Andrea è opera dell’architetto Bartolomeo Rastrelli: fiorentino come Listri. Mentre il gigantesco Teatro dell’Opera è in stile neorinascimentale. La mostra di Listri palesa, perfino a un isolazionista come me, che l’Ucraina per quanto lontana (lui per raggiungerla ci ha messo 19 ore di treno da Varsavia) fa parte del nostro continente, del nostro mondo. Sono fotografie bellissime di luoghi bellissimi, molto più utili dei drammatici bianco e nero, sangue e fango, dei fotoreporter di guerra che quando li vedo, loro, così malvestiti, e i loro scatti, così disturbanti e ricattatori, mi volto dall’altra parte. Non intendo farmi disturbare né ricattare, da nessuno, fosse pure Robert Capa redivivo, e per nessun motivo. Quando vedo le fotografie di Listri vedo invece in azione le “supreme forme del bello” (Aristotele): l’ordine, la simmetria, il definito. E mi sento già meglio. Adesso dell’Ucraina so qualcosa: è in Europa, è bella, tale deve rimanere.