il sottile vantaggio occidentale
Mine subacquee e altri mostri marini. La nuova guerra sott'acqua
Dal rischio sabotaggi degli houthi alle nuove armi di Russia e Cina. La Marina italiana lancia il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, un centro che riunisce conoscenze e programmi per la gestione, il controllo e la difesa dei fondali
Bangkok. “La Marina italiana ha affermato la sua presenza e il suo impegno nell’area strategica dell’Indo-Pacifico. È un fatto che ha determinato forte attenzione nei nostri confronti in questo scenario”, aveva detto al Foglio l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, sottocapo di Stato maggiore della Marina militare italiana in occasione di uno degli incontri svolti a Bangkok tra i paesi dell’Indo-Pacifico. “Senza l’Italia, l’Europa in Indo-Pacifico collassa”, aveva aggiunto il comandante Elia Cuoco, specialista in Strategia marittima. Proprio in quell’occasione, l’ammiraglio aveva voluto precisare il nuovo scenario in cui dovranno rientrare tutti i teatri operativi: la “Dimensione subacquea”.
“Il 99 per cento dei dati e delle comunicazioni scorre nel network di oltre un milione di chilometri di cavi in fibra ottica posati sui fondali. Sott’acqua passano condotte fondamentali per l’approvvigionamento energetico e sui fondali marini si trovano risorse cruciali per il futuro. Eppure, conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali marini”, ha detto l’ammiraglio Berutti Bergotto. “È per questo che la Marina militare ha creato il ‘Polo Nazionale della Dimensione Subacquea’, un incubatore di conoscenze e programmi per la gestione, il controllo e la difesa dei fondali. È un progetto che mette assieme Difesa, industria, imprese, start-up, università. In Europa non esiste un polo del genere. Il nostro è destinato a divenire un modello e il centro di eccellenza della Nato per l’Underwater”.
A poco tempo da quell’incontro, dopo le minacce degli houthi di colpire cavi e condotte sottomarine in Mar Rosso, in particolare a Bab el-Mandeb, lo stretto marittimo che congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi con le rotte dell’Oceano indiano, l’Underwater assume l’inquietante contorno dell’underword, parola che indica un mondo “di sotto” in ogni accezione simbolica, soprattutto nelle sue forme criminali. I fondali marini, del resto, sono il regno perfetto delle operazioni occulte, delle “stealth tactics”, le tattiche fantasma. Uno scenario che anche molti analisti non riescono a inquadrare, dove l’asimmetria tra la minaccia e i mezzi necessari per metterla in atto appare spropositata. Il sabotaggio o il danneggiamento delle Critical undersea infrastructure (Cui), gasdotti, oleodotti, infrastrutture per il trasporto di energia elettrica e di comunicazione può determinare enormi danni alle forniture energetiche. Il taglio, la manomissione o l’uso improprio dei cavi sottomarini, in particolare, può inoltre avere effetti vari sui flussi di informazioni, comprese transazioni finanziarie che assommano a dieci trilioni di dollari al giorno. Le conseguenze sull’economia mondiale sono state paragonate a quelle di un attacco nucleare. E’ come vedere materializzarsi un oceano brulicante di mostri marini come il Leviatano e il Kraken.
“Alla fine, si tratta di tagliare dei cavi che sono posati in acque relativamente basse come quelle del Mar Rosso. Non sono necessari mezzi high-tech. Teoricamente potrebbe farlo anche un peschereccio”, spiega al Foglio l’ammiraglio in congedo Massimo Vianello, esperto in armi subacquee e in contromisure mine, membro del Cesmar, Centro studi di geopolitica e strategia marittima. In realtà, però, i mezzi a disposizione degli houthi sono più sofisticati. “Le mine che hanno disseminato nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden sono le stesse che i russi hanno messo in Mar Nero”. Le mine sono sempre state l’arma ideale delle nazioni più deboli, il deterrente asimmetrico per eccellenza. Ma in questo caso sono mine “intelligenti”, capaci di riposizionarsi autonomamente. “Non è escluso che gli houthi abbiano ricevuto dall’Iran anche i piccoli sottomarini costieri adatti ai bassi fondali del Golfo Persico e delle acque dello stretto di Hormuz”, aggiunge l’ammiraglio, che sembra riferirsi ai minisottomarini classe Ghadir derivati dai nordcoreani classe Yono, lunghi 29 metri, che possono raggiungere una velocità di 11 nodi.
Considerando le nuove tecnologie messe in campo è il concetto stesso di guerra asimmetrica che andrebbe ridefinito. Secondo molti analisti, questi sviluppi rappresentano l’alba di una “nuova èra della guerra navale”. Paradossalmente, però, sono state proprio le minacce delle organizzazioni terroristiche a richiamare l’attenzione sull’importanza di esercitare un’azione di vigilanza dei fondali marini. Un’azione in cui l’Italia ha assunto un ruolo fondamentale. “La capacità operativa che la Marina militare è in grado di fornire alla Nato deriva dall’esperienza, maturata a partire dal 2022, dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico. Da allora la Marina italiana ha stabilito di effettuare un’operazione nazionale denominata ‘Fondali Sicuri’ a sua volta inquadrata nel più ampio contesto della ‘Mediterraneo Sicuro’”, scrive l’ammiraglio Vianello.
La “Dimensione subacquea” teorizzata dalla Marina italiana, insomma, è una nuova dimensione geopolitica che dovrà portare all’elaborazione sia di una “Diplomazia subacquea” sia del “Seabed Warfare”, che comprende l’insieme delle attività militari volte a proteggere le infrastrutture subacquee e gli interessi economici a esse correlati da qualunque tipologia di minaccia e che include anche la prevenzione di sabotaggi e di attività d’intelligence.
“La marina controlla i punti nevralgici, quelli già definiti dalle imprese che gestiscono cavi e condotte subacquee. Un compito assegnato ai cacciamine con il concorso di sottomarini, navi antisom, unità idro-oceanografiche nonché unità appoggio per operazioni subacquee”, spiega l’ammiraglio Vianello, che descrive uno scenario futuro in cui le nuove tecnologie potranno spostare sott’acqua tutto il confronto, con sottomarini che saranno i vettori di droni subacquei. “Per ora, a cominciare dal termine di droni, fa tutto parte di un immaginario collettivo. Ma è un immaginario che si collega a un mondo di ricerca e sviluppo industriale”. Per adesso dunque bisognerebbe parlare di Rov, (veicoli subacquei filoguidati) e di Auv (veicoli autonomi) che rientrano nella più ampia categoria degli Uuv (Unmanned underwater vehicles). Questi ultimi, i noti “droni subacquei”, per l’appunto, vengono lanciati da una nave-madre o da navi unmanned, ossia da altri droni che a loro volta sono collegati a una nave madre. E per ora questi mezzi sono utilizzati soprattutto come arma di ricatto o in previsione di un ricatto futuro. Una situazione che si è già verificata quando la Nato ha denunciato la presenza di sottomarini russi vicino a cavi in fibra ottica in Nord Atlantico: molti analisti ipotizzano che il loro primo obiettivo sia la mappatura delle linee sommerse.
Ancora una volta, però, il meccanismo innescato da una “corsa agli armamenti” iper-accelerata dall’intelligenza artificiale può trasformare il “naval warfare” in “high-intensity naval warfare”. Attualmente sembra che il fronte occidentale mantenga il predominio sui mari grazie soprattutto al vantaggio tecnologico americano nel campo sottomarino rispetto a Russia e Cina. Ma è un vantaggio definito “sottile”. La Cina, infatti, ha recentemente lanciato un drone subacqueo, l’Hayan, che è meglio definito come un “aliante subacqueo”. Invece delle tradizionali eliche o propulsori, è dotato di “ali” che gli consentono di planare in avanti mentre scende attraverso l’acqua. A una certa profondità, le ali si orientano positivo per risalire e riprendere il ciclo. E’ così che ha stabilito il record di navigazione, con un viaggio di 141 giorni e 3.600 chilometri nelle acque del Mar cinese meridionale. In quel mare, che per molti sarà lo scenario del nuovo conflitto tra superpotenze, la Cina sta sviluppando il progetto di una “Grande muraglia sottomarina” formata da navi di superficie, sottomarini, piattaforme e droni. Siamo ormai in piena fanta-geopolitica in cui gli abissi marini corrispondono davvero all’etimo greco di “senza fondo”, là dove è impossibile distinguere la realtà dall’immaginazione. E ancora una volta il dubbio alimenta la minaccia. È il caso del drone subacqueo russo a propulsione nucleare armato con testate nucleari che continua a navigare e potrebbe colpire ovunque, in qualsiasi momento. Per molti è un mostro creato dalla propaganda del Cremlino.
Altri mostri, incubi e scenari di conflitto sono scatenati dal “deep sea mining”, lo sfruttamento minerario dei fondali marini. Per decenni è stato un miraggio scientifico come la fusione nucleare, ma oggi il richiamo è divenuto talmente forte da accelerare una nuova corsa all’oro. E al manganese, al nickel, al cobalto, al rame, allo zinco, ai noduli polimetallici, a tutti i “battery minerals” i minerali destinati alle batterie che alimentano la nuova e altrettanto mitica civiltà green. Per limitare l’uso di combustibili fossili si stanno aprendo nuove miniere nella crosta oceanica. I “deep-sea buccaneers”, i “pirati degli alti fondali”, così sono stati definiti i nuovi cacciatori di tesori, giustificano la loro azione con la necessità di combattere il cambiamento climatico, l’imperativo di un’energia pulita. Ma così i fondali rischiano il “caos ecologico”, di essere devastati come la foresta amazzonica. Anche perché la ricerca di nuovi giacimenti si fa sempre più profonda sollevando una quantità di sedimenti di dimensioni himalaiane. La nave cinese per la trivellazione oceanica Mengxiang è progettata per perforare in profondità sotto la superficie dell’oceano, scendendo oltre la crosta terreste sino a raggiungere il mantello terrestre, lo strato che ci separa dal nucleo terrestre, la porzione più interna del nostro pianeta. Una perforazione ultra-profonda che può portare alla scoperta di nuovi minerali e addirittura di nuove forme di vita. Secondo alcuni la Mengxiang, il cui nome significa sogno, potrebbe aprire “la porta per l’inferno”.