La memoria degli altri
Com'è che ci piace accanirci su Biden e siamo così smemorati sui danni e le bugie di Trump
Se c'è un problema di memoria in America, questa riguarda l'ex presidente. Il Partito repubblicano chiede di rimuovere Biden e s'intruppa dietro al suo probabile candidato che pure ha deformato il paese ed è sotto processo. Per non parlare di come ha falcidiato la leadership conservatrice. Il ruolo degli elettori (che hanno un alibi), quello dei media e le conseguenze delle menzogne
L’età avanzata di Joe Biden, 81 anni, e la sua confusione sono materie di dibattito permanente: come fa a fare la campagna elettorale e, se la vince, a governare per altri quattro anni? L’età avanzata di Donald Trump, 78 anni a giugno, e la sua confusione (provate a seguire un discorso dell’ex presidente per intero se ci riuscite) non sono quasi mai citate. Certo, lui ha settanta processi e un’accusa di insurrezione contro le istituzioni americane, ma pure questi sembrano meno inficianti della vecchiaia di Biden.
L’età avanzata di entrambi i candidati alle elezioni del 2024 è un segnale invero poco rassicurante per l’America e per il mondo, per l’instabilità che può causare e per il fatto che nessuno dei due partiti del paese – partiti che sono ispirazione per il resto dell’occidente – è riuscito a costruire né una successione né una classe dirigente, vuoi per l’ostinazione degli anziani vuoi per la litigiosità dei giovani. In più una campagna elettorale che si prospetta come una riedizione inacidita e invecchiata del 2020 sembra destinata ad arrovellarsi sul passato piuttosto che prendere l’aria necessaria per immaginare il futuro del paese, ma pure qui i due vecchi non sono uguali: il passatismo come strategia e come ideologia è la ragione di “Make America Great Again”, lo slogan trumpiano con cui ora i sostenitori dell’ex presidente si definiscono – il popolo Maga.
Al contrario Biden magari non farà parte del futuro dell’America, ma non è certo un presidente che rimpiange l’America del passato o che vuole governare infiammando la nostalgia dei suoi elettori.
Se c’è un problema di memoria in America – come denuncia malevolo il consulente speciale Robert Hur (che una parte della sua carriera la deve a Trump) scagionando Biden dall’aver commesso un reato tenendo dei documenti riservati nel garage di casa sua – questo riguarda Trump: si tende a dimenticare che cosa è stata la sua presidenza e ancor più il post presidenza, questi tre anni che lui ha passato a spaccare il tessuto istituzionale, politico e sociale del paese.
Il Partito democratico si agita e si divide su Biden, sulla sua età, sulla sua tenuta, e nella serata di giovedì deve aver avuto un mancamento quando il presidente si è presentato furioso davanti alle telecamere a denunciare la cattiveria di chi lo accusa di non ricordare quando è morto suo figlio, a urlare che sa benissimo come si fa il suo lavoro, e poi a fare ancora confusione, come nei giorni passati (questa volta tra Egitto e Messico).
Il Partito repubblicano invece i suoi mancamenti non li ricorda, smemoratissimo, e sì che ne ha avuti parecchi (c’è l’imbarazzo della scelta, ma quella conferenza stampa in cui consigliò agli americani di curare il coronavirus con delle lampade solari e iniettandosi o bevendo il disinfettante?) e diligente s’intruppa dietro al suo ex presidente, che pure nel 2021 ha se non aizzato la folla che ha assalito il Campidoglio di certo l’ha applaudita, quanto basta per non volerci avere più nulla a che fare, ancor più che l’unica elezione che Trump ha vinto è stata nel 2016 (con l’aiuto da casa, dei russi) e poi non ne ha vinte più.
Il Partito repubblicano non si interroga sull’età del suo candidato e sulla sua confusione (delle gaffe di Biden sappiamo tutto, ci sono video e battute ovunque, ma del fatto che Trump abbia confuso la sua principale rivale, Nikki Haley, con l’ex speaker del Congresso Nancy Pelosi, si trovano poche tracce), ma nemmeno sul fatto che ha falcidiato con la sua pretesa di fedeltà un’intera classe dirigente, promuovendo i leali e affossando gli onesti, costruendo un gruppo di lavoro che non si fonda sulle competenze ma sul timore di essere masticati e sputati fuori dal capo volubile.
Il Partito repubblicano non si preoccupa più di tanto che il suo probabilissimo candidato presidente possa ricevere almeno una sentenza di condanna di qui a novembre aprendo un dibattito senza precedenti sul da farsi dal punto di vista costituzionale (forse pensa che la Corte suprema a maggioranza conservatrice non farebbe mai uno sgarbo al candidato repubblicano, ma pure questa è una capitolazione di fronte al rispetto dello stato di diritto e della divisione dei poteri), ma nemmeno sull’incapacità di trovargli un sostituto credibile e votabile, nonostante la campagna elettorale sia deformata – anche nella logistica – dagli appuntamenti in tribunale dell’ex presidente e dal suo dettare la linea al Congresso pur non avendone alcun potere (chiedere all’Ucraina qual è il costo pratico, umano, di questa interferenza).
La smemoratezza dei repubblicani va a braccetto con quella degli elettori trumpiani che però hanno l’alibi dell’idolatria e non sono tenuti a seguire ogni sussulto insurrezionale del loro beniamino. Meno comprensibile è l’accanimento mediatico sulla vecchiaia di Biden che fa sì che la memoria di quel che di disastroso ha fatto Trump abbia il sopravvento su quel che di buono abbia fatto il presidente in carica, a cominciare dall’unica cosa che in tutti gli appuntamenti elettorali è al cuore delle scelte di chi va a votare: l’economia, che si dà il caso sia in questo momento, nell’America degli smemorati e dei tristanzuoli, on fire. Per non parlare del fatto che Trump non abbia mai detto una cosa vera in vita sua, e per quanto l’assenza di lucidità di Biden sia preoccupante, le bugie come metodo di governo lo sono di più.