Il contributo alla Nato
Impariamo a proteggerci da tutto, anche da Trump
L'ex presidente ritorna sul suo grande classico contro gli alleati atlantici, con un twist ancora più putiniano. I repubblicani minimizzano, gli europei si spaventano. Ma Trump non rappresenta più un'incognita ed emanciparsi dalla dipendenza americana nella difesa è una scelta strategica , non una reazione. Cambiamo un numero nel grafico che tutti gli americani conoscono
Nel suo libro pubblicato nel 2000, “The America We Deserve”, Donald Trump scrive: “Ritirarci dall’Europa farebbe risparmiare al nostro paese milioni di dollari ogni anno”. Da presidente, Trump ha ripetutamente minacciato di voler abbandonare gli alleati europei della Nato. Il suo consigliere per la Sicurezza John Bolton, poi licenziato come molti altri, racconta nel memoir “The Room Where It Happened” che al celebre vertice dell’Alleanza atlantica del 2018 a Helsinki, Trump voleva dare agli europei un ultimatum: pagate la vostra parte o “usciremo, e non difenderemo chi non l’avrà fatto”, cioè i paesi che non avranno stanziato il 2 per cento del proprio pil per la Nato. Poi l’allora presidente fu meno brutale e ricordiamo quel vertice più per gli “accordi” che strinse con Vladimir Putin che per il resto, ma la minaccia di Trump alla Nato c’è da sempre. Questo non vuol dire che sia meno grave il fatto che oggi, in campagna elettorale e mentre si mette di traverso sugli aiuti all’Ucraina al Congresso, Trump dica a Putin di invadere pure i paesi che non pagano per la difesa di tutti, affossando la solidarietà che è il fondamento della Nato, ma è finito il tempo di spaventarsi per l’eversione di Trump, e agire.
Il 2024 si differenzia dal 2016 per il fatto che l’ex presidente, se dovesse essere rieletto, non è più un’incognita. Allora ci cullavamo nell’illusione della ragionevolezza, dei pesi e contrappesi del sistema americano, persino della possibilità che staff, Partito repubblicano, esperti e consiglieri tenessero il loro capo nei binari stabiliti dall’ordine liberale che regge il mondo dal Dopoguerra. I repubblicani che hanno commentato le parole di Trump hanno detto in sostanza: lo sapete come è fatto, dice cose così, ma il punto è che gli alleati devono contribuire alla Nato. C’è chi ridimensiona le minacce dell’ex presidente con una baldanza invero eccessiva, ma pure l’unica, debole rivale che Trump ha alle primarie, Nikki Haley, dice che il problema di queste esternazioni è che fanno sembrare Joe Biden a fuoco e non rincitrullito come vuole il sentiment del momento.
Oggi sappiamo che, per incapacità o devozione o paura o egoismo, i freni a Trump non li metterà nessuno (sanno tutti che fine si fa a contraddirlo) e quindi è inutile ripetere, stando fermi, che Trump è un pericolo per le democrazie tutte: lo è, ma imparare a proteggersi è una scelta strategica, non la reazione a una minaccia. Ed è una scelta che l’Unione europea dice di aver preso da tempo, ma che poi non riesce a mettere in pratica, perché si divide e perché, in molti partiti e nell’opinione pubblica, permane l’equivoco secondo cui la pace si mantiene se non si è armati. Emanciparsi dalla dipendenza dalla difesa americana è un passo necessario da molti anni (l’amatissimo Barack Obama ci aveva dato di “scrocconi”), lo è ancora di più ora che la guerra è arrivata in un paese che farà parte dell’Unione europea e ora che il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dice che ci aspetta uno scontro con la Russia “decade long”, di decenni.
Il Donald europeo, cioè il premier polacco Tusk, dice: “Se l’Ue non si prende cura della propria sicurezza in modo efficace, e se la farà dipendere dalla buona volontà o dalla prontezza americana, prima o poi finirà nel disastro. Dobbiamo svegliare l’Europa”. La sveglia migliore è cambiare quel grafico che tutti gli americani – Obama docet – conoscono e criticano: gli Stati Uniti stanziano il 3,5 per cento del loro pil per la Nato, i paesi europei e il Canada, in media, l’1,7.