Quanto costa la pace

L'Europa deve guardare alla spesa militare russa per capire come proteggersi

Cecilia Sala

La macchina bellica di Putin passa da 40 a 100 missili al mese. L’Europa va “a tavoletta” ma a quasi due anni dall’invasione dell'Ucraina è riuscita a produrre in dodici mesi un po’ meno della metà delle munizioni che aveva promesso di consegnare a Kyiv

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Londra aveva scorte di munizioni per l’artiglieria sufficienti per una settimana di combattimenti, la Bundeswehr soltanto per due giorni. “Ma da allora stiamo lavorando a tavoletta”, ha detto Armin Papperger, l’amministratore delegato di Rheinmetall, la più importante industria militare tedesca che nel 2024 aprirà alcuni stabilimenti in Ucraina. E ieri – per la prima volta da molti anni – un cancelliere tedesco ha visitato una fabbrica di armi nazionale. Olaf Scholz è andato a Unterlüss, nel nord della Germania, in uno stabilimento Rheinmetall che produce munizioni per l’artiglieria e da lì ha twittato: “Non viviamo in tempi pacifici. Chiunque voglia la pace ora deve avere successo nell’esercitare deterrenza, quindi ha bisogno di una solida base industriale per la Difesa”. 

E’ simbolico che la visita di Scholz sia arrivata a un giorno di distanza da quando, dal palco di un comizio in Carolina del sud, Donald Trump ha chiamato “delinquenti” i paesi europei che ancora non spendono il due per cento del proprio pil nella difesa comune in ambito Nato, e ha detto che se lui fosse alla Casa Bianca non soltanto non li difenderebbe se venissero attaccati da Mosca e li abbandonerebbe nel momento del bisogno, ma farebbe anche molti auguri agli aggressori russi. Né la Germania né l’Italia nel 2023 hanno raggiunto la soglia del due per cento del pil in spesa militare.

Nonostante gli sforzi europei siano cominciati nella primavera del 2022, a quasi due anni dall’inizio della guerra di aggressione di Vladimir Putin l’Europa intera è riuscita a produrre in dodici mesi un po’ meno della metà delle munizioni che aveva promesso di consegnare all’Ucraina entro il prossimo marzo: circa 480 mila pezzi invece di un milione. I paesi europei hanno bisogno di rimpinguare i propri magazzini, ma non vogliono farlo a danno delle spedizioni verso Kyiv perché sanno che solo se l’Ucraina resiste l’Unione europea è più al sicuro. Al momento il totale della produzione non è sufficiente neppure per il secondo obiettivo e oggi gli ucraini schierati lungo millecinquecento chilometri di linea del fronte possono sparare al massimo duemila proiettili d’artiglieria contro i russi che tentano di avanzare, mentre fino a pochi mesi fa avevano una dotazione più congrua all’obiettivo di fermare i carri armati di Mosca: settemila proiettili al giorno. 

Secondo gli esperti militari, l’agenzia comune creata a Bruxelles per potenziare la Difesa (Eda) è uno strumento efficace, ma sarà davvero capace di dissuadere i progetti ambiziosi e violenti di Putin – soprattutto se negli Stati Uniti dovesse vincere Trump – soltanto se invece di porsi obiettivi simbolici (la produzione di un milione di munizioni in un anno), sarà sufficientemente flessibile da tararsi su quello che è lo sforzo dell’industria bellica russa, e pronta ad aggiustare i propri piani di conseguenza. 

La regola generale è che, in un conflitto su larga scala tra avversari con un apparato militare imponente e sofisticato (ce l’hanno, in modi diversi, sia la Russia sia l’Ucraina), si finisce in una guerra d’attrito che viene vinta, di solito, dalla parte che ha la migliore industria bellica. Per questo dopo che a novembre l’ormai ex capo di stato maggiore ucraino, Valery Zaluzhnyi, ha decretato lo “stallo” sul campo di battaglia, gli analisti militari hanno voltato lo sguardo dalla linea del fronte alle fabbriche di armi russe da una parte e a quelle ucraine e degli alleati di Kyiv dall’altra.

Quando è cominciata l’invasione Mosca riusciva a produrre quaranta missili a lungo raggio al mese e oggi ne produce cento al mese, ha raddoppiato la produzione dei proiettili di artiglieria (oltre ad averne ricevuti un milione dalla Corea del nord) e ha in programma di aumentare ancora del 68 per cento la propria spesa militare. L’Europa è in vantaggio sulla tecnologia ma a oggi non lo è – affatto – sulla capacità produttiva.

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