dalla nostra inviata

Il Mar Nero è un caso di studio, ma la guerra in Ucraina è di terra e di aria

Micol Flammini

Kyiv affonda un'altra nave di Mosca, ma le vittorie ucraine in mare non esaltano più: "Dobbiamo rimanere concentrati, dobbiamo guardare al fronte, a Bakhmut, ad Avdiivka", dice Beleskov della fondazione Come Back Alive

Kyiv, dalla nostra inviata. Il Mar Nero si è trasformato nel paradigma di tutti i mari da difendere, di tutte le rotte commerciali da blindare. Al Mar Nero guardano i taiwanesi per capire come proteggersi dalla guerra promessa da Pechino, ma uno sguardo fugace al Mar Nero lo danno anche gli occhi più preoccupati dalla situazione nel Mar Rosso, con gli assalti houthi che compromettono gli scambi del mondo intero. Eppure le azioni ucraine nel Mar Nero non sortiscono più gli effetti emotivi di due anni fa, non vengono neppure più scandite da slogan di battaglia, nessuno gli dedica più francobolli, magliette, nessuno ripete “russkij voennyj korabl idi na chuj”, nave da guerra russa vaffanculo: l’invito del soldato ucraino era per la Moskva, la più iconica delle ammiraglie russe, e da quel giorno, era il 14 aprile del 2022, di navi da guerra russe ne sono state affondate parecchie, i fondali del Mar Nero sono una teca dell’antica flotta di Mosca. Ieri le Forze armate ucraine hanno annunciato di aver colpito al largo delle coste della Crimea, davanti alla città di Yalta, la nave anfibia russa Cezar Kunikov.

 

La flotta russa ha quasi abbandonato la penisola che occupa dal 2014, l’Ucraina è sempre più efficace e precisa nel colpire le navi e ha spinto Mosca a rinunciare a un privilegio che aveva prima che iniziasse a occupare i territori di Kyiv: le navi russe potevano stazionare in Crimea quando tra le due nazioni i rapporti erano regolati da accordi consensuali e internazionalmente riconosciuti. A colpire la Cezar Kunikov sono stati i droni Magura V5: “La flotta russa ha un sistema di protezione scarso”, dice Mykola Beleskov, della fondazione Come Back Alive che sostiene le Forze armate. “Le azioni nel Mar Nero hanno un grande impatto a livello internazionale, ci permettono di essere meno dipendenti dagli aiuti degli alleati perché liberano una delle nostre fonti di ricchezza più importanti che è rappresentata dall’esportazione del grano, ma a livello strategico, sappiamo bene che la guerra è una questione di terra e di aria”. L’Ucraina ha visto la debolezza di Mosca e la sfrutta, quel che accade nel Mar Nero ha un effetto sul morale, ma non copre e non sostituisce quello che bisogna fare a terra, dove la Russia ha imparato dagli errori dei mesi scorsi, e in aria, dove c’è da guadagnare superiorità e trovare il modo per tenere la guerra a distanza. 

 

L’esercito russo utilizza le navi anfibie per spostare più rapidamente le truppe d’assalto a terra, sono imbarcazioni vecchie, la Cezar Kunikov è di epoca sovietica, senza la tecnologia necessaria ad abbattere un drone in avvicinamento. Le stesse mancanze hanno portato all’affondamento della Ivanovets, una nave da guerra più piccola, e della Novocherkassk, che è stata colpita mentre era nel porto di Feodosija, sempre in Crimea. “Il motivo per cui queste vittorie non ci esaltano è perché dobbiamo rimanere concentrati, dobbiamo guardare al fronte, a Bakhmut, ad Avdiivka”, dice Beleskov. Ad Avdiivka la battaglia è furiosa, i russi sono sempre più pressanti e non è facile per gli ucraini togliersi dalla mente che è una battaglia di munizioni e di colpi, dove vince chi ne ha di più: la Russia ne ha, l’Ucraina paga la scarsità delle consegne occidentali. Ieri a Ramstein si sono riuniti i ministri della Difesa dei paesi dell’Alleanza atlantica, i commenti traditori di Donald Trump nei confronti degli alleati non abbandonano le menti di chi da quasi tre anni cerca di potenziare la Nato.  

 

E di chi aspira a entrarci, come l’Ucraina, che aspetta nuovi aiuti e in quest’atmosfera di trumpismo in campagna elettorale teme il peggio. La richiesta di Kyiv è diretta e semplice: servono nuove consegne di aiuti militari in fretta, la Russia non perde mai tempo, non si può sperare che la sua economia che si regge sull’impegno bellico collassi sotto il peso di un ritmo insostenibile e di una tendenza allo sperpero costante. Da qui al collasso potrebbero trascorrere almeno tre anni. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)