Guerre stellari?

L'arma segreta di Putin nello spazio

Giulia Pompili

Secondo l'intelligence americana Mosca potrebbe aver messo in orbita un’arma nucleare. E' una linea rossa imprevedibile che cambia gli equilibri. L'informativa e i guai anche per Starlink

L’intelligence americana ha raccolto nuove informazioni sensibili su un’arma antisatellite sviluppata dalla Russia, secondo diverse indiscrezioni pubblicate ieri dalla stampa internazionale. Non è chiaro di che tipo di arma si tratti, ma è possibile che per la prima volta nella storia Mosca abbia deciso di superare la linea rossa spaziale, e cioè quella di portare le armi nucleari in orbita, e per scopo offensivo. Come hanno confermato diverse fonti alla Abc, non si tratta di usare l’atomica dallo spazio contro la terra, un’ipotesi da film Marvel poco realistica. La questione riguarda piuttosto la possibilità di usare l’energia atomica come arma antisatellite, e per scopo non difensivo. Sarebbe, di fatto, un vantaggio tattico nello spazio e soprattutto in orbita bassa, dove i satelliti sono un’infrastruttura strategica cruciale per qualsiasi potenza. Se Mosca, con il suo ultimo lancio del 9 febbraio scorso di una Soyuz dal carico “top secret”, avesse davvero messo in orbita un’arma potenzialmente offensiva nucleare, il risultato sarebbe un cambiamento  radicale degli equilibri di forza tra America, Russia e rispettivi alleati. Anche perché attualmente l’America non è in grado di fermare o contrastare un eventuale attacco nucleare nello spazio – o meglio: nessuno potrebbe farlo. 

 


Nel 1967 le grandi potenze hanno firmato il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, che vieta lo stazionamento di armi di distruzione di massa nello spazio, proibisce attività militari in orbita e definisce alcune norme che regolano l’esplorazione e l’uso pacifico dello spazio. Per molto tempo diversi paesi, tra cui l’Iran e la Corea del nord, hanno usato la ricerca spaziale e scientifica per sviluppare un programma spaziale legato alla Difesa, e anche America, Russia e Cina hanno iniziato soprattutto di recente a sviluppare sistemi difensivi delle proprie infrastrutture strategiche spaziali. Ma nessuno aveva mai osato nemmeno menzionare il nucleare. Del resto, cinque anni prima del trattato, nel 1962, l’America aveva testato Starfish Prime, l’esplosione di una testata termonucleare a quattrocento chilometri di altezza sopra l’Oceano Pacifico con una potenza di 1,4 megatoni (la bomba sganciata su Hiroshima fu di 13 chilotoni). La detonazione creò una tempesta geomagnetica di dimensioni imprevedibili, che spense i lampioni delle strade in alcune città delle Hawaii, rese impossibili per un periodo di tempo le comunicazioni radio e perfino telefoniche, a causa del danneggiamento dei satelliti. Dopo quell’evento la comunità internazionale disse: mai più. Perché un’esplosione nucleare nello spazio, anche più piccola di Starfish, è in grado di mettere fuori uso un enorme numero di sistemi satellitari, soprattutto oggi che le compagnie private hanno moltiplicato il numero di oggetti orbitanti: al momento se ne contano 8.377 attivi. Le Forze armate americane da tempo studiano metodi di difesa per i propri satelliti anche in caso di esplosione nucleare spaziale, un modo per spazzare via eventuali radiazioni dall’orbita, ma non hanno ancora trovato un sistema efficace: non esiste un Iron Dome satellitare, e questo è il vantaggio di Putin. Lo scopo della Roscosmos, l’agenzia spaziale del Cremlino strettamente legata alla Difesa russa, è quello di creare un vantaggio strategico per la Russia in caso di conflitto: l’aspetto spaziale era stato evidentemente sottovalutato all’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte di Mosca, quasi due anni fa. L’intervento di un’azienda privata come la SpaceX di Elon Musk, che ha messo a disposizione la costellazione Starlink per la Difesa ucraina, ha cambiato l’assetto della guerra. Un’arma tattica russa fatta esplodere nello spazio avrebbe la capacità di annientare in un attimo tutti gli asset di Starlink e con essi anche i servizi offerti a Kyiv, ma anche solo la minaccia di poterlo fare rischia di diventare un problema, con un effetto di deterrenza squilibrato nelle mani di Mosca (e Pechino). 

 


Forse anche per questo mercoledì il presidente della commissione Intelligence della Camera americana, il repubblicano Mike Turner, aveva lanciato un allarme: in un comunicato piuttosto criptico e anomalo aveva invitato l’Amministrazione Biden a condividere i dettagli sulla “seria minaccia alla sicurezza nazionale” con il Congresso e con i paesi alleati. Poche ore dopo gli aveva risposto il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, che ai giornalisti aveva spiegato di aver già convocato la “Gang of Eight”, cioè gli otto leader del Congresso che vengono regolarmente informati sulle questioni top secret, e che la Casa Bianca di Biden ha già ricorso spesso alla strategica declassificazione delle informazioni d’intelligence, e lo avrebbe fatto anche stavolta. Poi è dovuto intervenire perfino lo speaker della Camera Mike Johnson, che in una conferenza stampa convocata in fretta e furia mercoledì sera ha chiesto al pubblico di non allarmarsi: se si tratta davvero di equilibri e show di forza nello spazio, non c’è un pericolo imminente per la popolazione, ma potrebbe esserci prima di quanto pensiamo. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.