Putin voleva un'Europa senza gas, ora ha un'Europa senza Gazprom
Nel 2023 il gas russo ha rappresentato meno del 15 per cento del totale delle importazioni dell’Ue e gli stoccaggi sono ancora al 65 per cento. A pagare il prezzo della scommessa del Cremlino è il colosso statale dell’energia
Tra i fronti aperti due anni fa dalla Russia per annientare l’Ucraina c’era la guerra energetica contro l’Europa, da vincere manipolando i flussi di gas naturale destinati all’Unione europea per metterne in ginocchio le economie, costringendo i governi a venire a patti con Vladimir Putin. Non è successo niente di tutto questo, e a pagare il prezzo della scommessa del Cremlino è Gazprom, il colosso statale dell’energia che con la sua rete di gasdotti è stato per decenni uno degli strumenti più rappresentativi del potere geopolitico di Putin.
La minaccia del ricatto energetico era credibile: la Russia forniva all’Ue più del 40 per cento del gas, i maggiori paesi europei – in particolare Germania e Italia – erano terrorizzati all’idea di restare senza forniture, e infatti quel settore venne escluso dalle sanzioni. Già prima dell’invasione dell’Ucraina, ma soprattutto dopo, Gazprom ha iniziato a manipolare i flussi dei gasdotti, adducendo scuse pretestuose come improvvisi guasti tecnici e operazioni di manutenzione straordinaria. Spesso veniva data la colpa alle sanzioni occidentali rivolte ad altri settori, come ad agosto del 2022 con il caso della mancata spedizione di una turbina della Siemens destinata al lato russo del Nord Stream, che si concluse con una resa di Berlino.
Nel frattempo le quotazioni del gas alla borsa di Amsterdam (Ttf) raggiungevano prezzi mai visti prima, con picchi dieci e quindici volte superiori alle quotazione pre-belliche che alimentavano un’inflazione visibile ogni giorno al supermercati e nelle bollette. Ciò nonostante i paesi europei non hanno ceduto, e mentre continuavano a importare gas russo portavano avanti una politica di diversificazione delle forniture per liberarsi dal ricatto di Mosca. I risultati sono arrivati presto. Nel 2023 il gas russo ha rappresentato meno del 15 per cento del totale delle importazioni dell’Ue di gas e gas naturale liquefatto (Gnl), da più di un anno le quotazioni del Ttf sono tornate ai livelli del 2021, e grazie anche a un inverno mite gli stoccaggi europei sono ancora al 65 per cento della capienza.
E così Gazprom, che doveva essere la carta vincente del Cremlino, è diventata la principale vittima della guerra tra le grandi aziende di stato russe, nonostante la sua “immunità” dalle sanzioni permanga tuttora.
All’inizio della guerra Gazprom aveva compensato abbondantemente la riduzione dei volumi di gas esportati in Europa con l’impennata dei prezzi, ma l’effetto è stato breve. Come riporta il Financial Times, nei primi sei mesi del 2022 la società ha registrato un utile al lordo delle imposte di 49,7 miliardi di dollari, crollato del 40 per cento nei primi sei mesi del 2023. Nello stesso periodo gli utili netti si sono ridotti di circa il 70 per cento. I ricercatori dell’Accademia russa delle scienze, prevedono che i risultati finali del 2023 dimostreranno che Gazprom ha smesso di essere una società redditizia, stimando perdite nette per oltre i 10 miliardi di dollari entro il 2025.
Domenica Putin ha detto che la Russia ha resistito all’addio dell’Europa dal suo gas, ma la realtà è molto diversa. Anche se le esportazioni verso la Cina sono aumentate, i volumi rimangono contenuti: l’anno scorso la Russia ha esportato circa 22 miliardi di metri cubi di gas attraverso i gasdotti russo-cinesi, una frazione rispetto ai 150 di miliardi di metri cubi esportati in Europa nel 2021. Gazprom potrebbe migliorare le sue prospettive se raggiungesse un accordo sulla costruzione del gasdotto “Power of Siberia 2”, un’opera titanica da 3.550 km, che collegherebbe alla Cina i giacimenti di gas della Siberia occidentale che un tempo rifornivano l’Europa. Tuttavia, Pechino e Mosca devono ancora trovare un accordo sul costoso progetto, che una volta i russi pensavano di costruire con i profitti del gas venduto in Europa, ma che ora andrebbe finanziato con il bilancio statale, ormai totalmente asservito alle spese legate alla guerra.
Paradossalmente, oggi la principale fonte di entrate per Gazprom sono le vendite di petrolio di Gazprom Neft, che nella prima metà del 2023 hanno contribuito al 36 per cento dei ricavi e al 93 per cento dell’utile netto. Lo scorso anno il valore di mercato della società petrolifera sussidiaria del colosso del gas ha addirittura superato quello della società madre.
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