lo scenario
Von der Leyen dà la misura dei partiti con cui collaborerà e quelli no. Che cosa vuol fare Meloni?
Le fratture dentro Ecr e i movimenti degli infrequentabili (vedi Le Pen). Ora la premier italiana è in preda a un dilemma: diventare il riferimento degli estremisti oppure una leader conservatrice responsabile?
Bruxelles. Ursula von der Leyen questa settimana ha complicato la strategia di Giorgia Meloni per la prossima legislatura dell’Unione europea. Lunedì a Berlino la presidente della Commissione ha indicato i partiti con cui non collaborerà mai. “Gli amici di Putin”, ha detto von der Leyen, citando Alternativa per la Germania, la francese Marine Le Pen e l’olandese Geert Wilders. Sono le estreme destre riunite nel gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega. Mercoledì a Bruxelles, von der Leyen ha incluso nel cordone sanitario quelli che ha definito gli “euroscettici”, cioè alcuni degli alleati di Fratelli d’Italia nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr). Meloni è di fronte a un dilemma: diventare il leader degli infrequentabili oppure una leader conservatrice responsabile?
Né a Berlino né a Bruxelles von der Leyen ha menzionato Fratelli d’Italia. I rapporti tra la presidente della Commissione e il presidente del Consiglio sono buoni. Nei corridoi brussellesi tutti o quasi danno per scontato il sostegno di Meloni a un secondo mandato. Ma il resto del gruppo Ecr è propenso a una bocciatura. Soprattutto, dopo una riunione con il Partito popolare europeo mercoledì, von der Leyen ha incluso buona parte dell’Ecr nella categoria degli “euroscettici” con cui non intende formare una maggioranza. Alla domanda del Foglio sul PiS polacco, il Fidesz di Viktor Orbán, gli spagnoli di Vox e i francesi di Reconquête!, von der Leyen non ha lasciato spazio a dubbi. E’ “precisamente ciò che è contrario allo stato di diritto”, ha risposto la presidente della Commissione. Collaborare? “Impossibile”. Von der Leyen si è spinta oltre, minacciando di provocare una fuga dal gruppo Ecr. “Non sappiamo come sarà formato l’Ecr dopo le elezioni, quali partiti lasceranno l’Ecr e, per esempio, entreranno nel Ppe, cosa che è ugualmente possibile”, ha detto la presidente della Commissione.
Fonti del Ppe hanno indicato al Foglio quali sono le prede possibili: il partito Ods del premier ceco Petr Fiala, il partito dei Finlandesi, il partito dei Democratici svedesi, i belgi della N-VA (il partito nazionalista fiammingo). E’ la componente più moderata, antirussa e meno euroscettica dell’Ecr. Alcuni di loro sono motivati dal dominio sovranista. Altri dalla prospettiva di un ingresso nel gruppo del Fidesz di Orbán, che aumenterebbe la componente pro russa. A Roma come a Bruxelles si moltiplicano le voci di un possibile arrivo di Marine Le Pen, un’altra amica di Putin. L’Ecr diventerebbe il terzo (forse secondo) gruppo del Parlamento europeo. Il baricentro sovranista si sposterebbe ancora più verso l’estrema destra. Meloni, che è presidente del partito europeo dell’Ecr, si ritroverebbe alla testa di quelli che von der Leyen considera gli infrequentabili.
Tutto potrebbe rimanere com’è ora: un Ecr grosso, ma non enorme, senza Orbán e senza Le Pen, diviso sulla fiducia alla presidente della Commissione. Von der Leyen e il Ppe preferirebbero uno scenario diverso, come una scissione interna, con la formazione di un gruppo di destra molto conservatore e più piccolo, ma pragmatico, atlantista e pro europeo, che non metta in discussione i valori e lo stato di diritto. Ods, Finlandesi, Democratici svedesi e N-VA sono al governo o fanno parte di maggioranze governative. Come Fratelli d’Italia. L’ingresso del partito di Meloni nel Ppe attualmente è escluso. Con una trentina di deputati europei diventerebbe la prima delegazione del Ppe, alla pari con la Cdu. “Per i nostri tedeschi non sarebbe accettabile perdere il ruolo dominante”, spiega una fonte interna. Ma una forma di collaborazione più stretta sarebbe concepibile, perfino un ingresso formale nella “maggioranza Ursula” con gli altri gruppi europeisti. I più entusiasti rievocano la confederazione che era stata creata a cavallo degli anni Duemila per tenere i Tory britannici con un piede dentro al Ppe e un altro fuori: un gruppo unico, ma diviso in due componenti e ribattezzato (all’epoca) Partito popolare europeo-Democratici europei. In cambio, però, Meloni dovrebbe abbandonare il PiS, tradire Vox, rinnegare Orbán e tenere lontana Le Pen. Nei fatti dovrebbe rinunciare a diventare la leader della grande alleanza sovranista e populista, anti immigrazione, che sbandiera valori cristiani e mette al centro di tutto la nazione, minando l’Ue e la sua democrazia dall’interno. “Alla fine è Meloni che deve decidere cosa fare da grande”, dice un’altra fonte.