LO SPECIALE sulla guerra
In missione notturna con i soldati ucraini per colpire al di là del fronte
Il fosforo bianco russo illumina la notte. A missione compiuta i soldati ucraini festeggiano con una Red Bull. E al fronte, quando non combattono, si occupano delle loro “galline della resistenza”
Fronte del Donetsk, Ucraina. Si parte appena fa buio, si torna prima che albeggi. La base è nel lembo di terra liberato dagli ucraini nel sud della regione di Donetsk durante la controffensiva d’estate. Si aspetta seduti fra i topi che i droni iraniani Shahed passino e arrivi l’ordine di far partire i propri droni in attacco in senso opposto, mentre in cielo brilla il fuoco d’artificio bianco prodotto dalle munizioni al fosforo – poco prima di cadere a terra e divorare le case. Si guarda su YouTube il comico americano Jon Stewart che trolla l’intervista a Vladimir Putin di Tucker Carlson e si ride.
La missione è distruggere un’antenna montata sul tetto di una palazzina di due piani occupata dai russi e – se possibile – uccidere qualcuno degli ospiti. La palazzina è trentacinque chilometri oltre la linea del fronte in direzione della città sul mare di Berdyansk. Il drone ha un’apertura alare di circa due metri e mezzo e trasporta due bombe. Arriva sopra al tetto, sgancia l’esplosivo, poi fa un’inversione a U e torna indietro, apre un paracadute per non rovinarsi e atterra piano: ci mette un po’ meno di un’ora perché viaggia a circa ottanta chilometri orari. L’antenna russa è stata polverizzata, non ci sono vittime. A missione compiuta si festeggia con una sigaretta, una Red Bull e una telefonata su Whatsapp alla fidanzata a Kyiv oppure a Leopoli oppure in Germania. Due anni fa a Severodonetsk, mentre i russi completavano l’accerchiamento e gli ucraini aspettavano l’ordine per ritirarsi, Sasha puliva il fucile compulsivamente. “E anche i fucili di tutti i miei compagni, e poi ricominciavo da capo. In alcuni momenti ti serve una cosa semplice e pratica da fare per non impazzire. Come chi vive in pace e mette in ordine l’armadio per rilassarsi”. Alcune volte le ossessioni sono funzionali: “A Bakhmut un amico per non impazzire si è messo a piantare le patate tra i palazzi collassati. Un altro si è messo a costruire un bagno di legno nel cortile di un capannone. Qui quando non ci bombardano ci occupiamo della fattoria, il proprietario è morto, i polli e i maiali sono vivi. Li sfamiamo, accendiamo un fuoco per loro quando si gela e ci hanno premiati: le galline sulla linea del fronte non depongono le uova per il trauma dei colpi, ma le nostre, coccolate, hanno ricominciato a farle. Le chiamiamo le galline della resistenza”, sorride.
Gli smartphone sono in modalità aereo e la geolocalizzazione è disattivata perché un mucchietto di dieci telefoni vicino alla linea del fronte sarebbe visibile ai sistemi d’intercettazione russi ed equivarrebbe a una condanna a morte per quelli che li portano in tasca. Le clip di Jon Stewart e le telefonate alle fidanzate sono un piccolo lusso concesso dagli apparecchi Starlink, progettati dalla compagnia SpaceX di Elon Musk e pagati dal Pentagono. Si aspetta la prossima missione e si controlla il vento per capire dove va il fosforo bianco: “Questa nuvola qui precipita a un chilometro o due da noi”.
Il battaglione è il numero 411, il comandante dell’unità ha 29 anni, un orecchino e un tatuaggio. Alcuni degli uomini che prendono ordini da lui potrebbero essere suo padre ma questo non sembra provocare alcun nervosismo. Ci sono un manager di una società di consulenza, un muratore, un musicista.
“Non sono poche le brigate che negli ultimi mesi hanno aggiornato i loro ruoli di leadership e i miei coetanei che hanno scalato le gerarchie”, dice il comandante. Nella Decima brigata c’è un nuovo leader poco più che ventenne – premiato perché nel 2022, ai tempi della difesa di Kyiv, ha avuto un’idea originale e ha salvato il sobborgo di Brovary, che rischiava di finire male come quello di Bucha. Il più anziano, Sergiy, ammette: “Questa guerra richiede molta inventiva e confidenza con la tecnologia – ai millennial entrambe le cose riescono bene”. I rinnovamenti delle leadership sono diventati più frequenti dopo il cambio al vertice del ministero della Difesa e dopo che sono stati licenziati tutti i responsabili regionali del reclutamento per i troppi casi sospetti di corruzione, e hanno alla base la stessa logica: rinnovare l’apparato militare ed eliminare privilegi e abusi che rendono insofferenti i soldati in prima linea. “Di meritocrazia non è mai morto nessuno, e se sulle munizioni dipendiamo da voi europei e dagli americani, su questo tema possiamo lavorare in autonomia per conquistarci un vantaggio assoluto rispetto all’armata del Cremlino”.
Prima che il drone colpisse l’antenna, il manager e il muratore erano preoccupati di perderlo: “C’è tanta luna, è quasi luna piena, e se i russi lo vedono e gli sparano col fucile?”. Il musicista ha scommesso non soltanto che il drone sarebbe tornato alla base ma che prima avrebbe assestato il colpo all’antenna, e ha vinto: “È stata una cicogna bianca a portarmi fortuna”. La fine di febbraio segna l’anniversario dell’invasione totale ordinata da Vladimir Putin alle quattro di mattina del 24 e i dieci anni dalla protesta di Euromaidan con i suoi morti. Ma per gli ucraini la fine di febbraio è anche il momento speranzoso in cui si sente che l’inverno è meno duro e che la primavera si fa avanti: “Stanno tornando le cicogne bianche”. La cicogna bianca è il simbolo ornitologico dell’Ucraina, e le cicogne spesso fanno il nido sui piloni della linea elettrica perché sono più stabili degli alberi. Ma sui piloni passano i cavi ad alta tensione e i pulcini rischiano di finire fulminati, così la compagnia nazionale, nel 2023, mentre i suoi operai dovevano correre dal Donbas a Leopoli per aggiustare le centrali prese di mira dai missili russi che vorrebbero lasciare gli ucraini al freddo e al buio, ha trovato il tempo di creare una squadra dedicata soltanto a riposizionare qualche decina di centimetri più in là i nidi delle cicogne eventualmente in pericolo.
Quando un paese non crede di potercela fare si vede. A Kabul, dopo gli accordi di Doha che in buona sostanza consegnavano quantomeno una parte dell’Afghanistan ai talebani, i negozi chiudevano, non aprivano. Le persone cercavano un modo di uscire, non di entrare. Era molto prima della caduta della capitale e dello spaventoso ritiro occidentale. A Kyiv hanno aperto cento nuove librerie soltanto nell’ultimo anno. Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio nella capitale e a Odessa, a Dnipro, a Zaporizhzhia era tornato il sessanta per cento dei milioni di profughi fuggiti nella primavera del 2022. I fixer ucraini che lavorano con le televisioni internazionali si lamentano – si fa per dire – perché a Kharkiv, nella città molto presa di mira vicino al confine russo, “non c’è mai una volta che si riesca ad andare a filmare il risultato di un colpo russo. Tempo di capire dove c’è stato un danno e di arrivarci e hanno già messo tutto in ordine. Niente più incendio, neanche due pezzi di cemento in terra o un’auto sfasciata abbandonata”. In Donbas, a sette chilometri dalla linea di contatto con l’esercito russo, si potano le piante e si innaffiano le aiuole – anche se per quelle strade e per quelle piazze in questo momento non passa più nessun civile. Circa il tre per cento della popolazione è nell’esercito e circa il dieci per cento di quel tre per cento è al fronte, per gli altri la vita fa più paura di prima – e dipende dalle munizioni per la contraerea occidentali – ma va avanti. I cinema, le palestre, i teatri e gli uffici sono aperti, i locali dove andare a ballare hanno anticipato l’ora in cui cominciano e finiscono le feste, ma non hanno rinunciato alle serate techno. I festival sono ripresi tutti. Creare, in tempo di guerra, nell’indaffaratissima società elettrica nazionale, una squadra speciale che si occupa soltanto di proteggere i nidi delle cicogne è un nuovo modo per dirsi, e per dire a chi guarda da fuori: se questo è uno stato fallito.
Lo speciale del Foglio a due anni dall'invasione russa