Mr Teflon alla Nato
Mark Rutte è a un passo dal diventare il nuovo segretario generale della Nato
L'ex premier olandese ha il consenso (meritato) di due terzi degli alleati, tra cui Joe Biden. Chi manca?
Bruxelles. Il premier olandese uscente, Mark Rutte, è a un passo dal diventare il nuovo segretario generale della Nato, dopo aver ottenuto un sostegno convinto da parte degli Stati Uniti. “Il presidente Biden sostiene fermamente la candidatura del premier Rutte”, ha detto giovedì un funzionario americano: “Ha una profonda comprensione dell’importanza dell’Alleanza, è un leader e un comunicatore naturale, e la sua leadership sarebbe utile all’Alleanza in questo momento critico”. Il momento è fatto dalla guerra in Ucraina, dalle minacce della Russia contro l’Europa, dal rischio di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Rutte è primo ministro per gli affari correnti, dopo le dimissioni dello scorso anno e la vittoria del leader di estrema destra Geert Wilders nelle elezioni di novembre. Liberale conservatore, soprannominato Teflon, ha attraversato ogni tipo di avversità politica nei Paesi Bassi, governando con quasi tutti, dall’appoggio esterno di Wilders alla grande coalizione con i laburisti. Salito al potere all’Aia nel 2010, è uno dei politici più rispettati, scaltri e sperimentati in Europa. Ha sostenuto con forza l’Ucraina, approvando pacchetti di aiuti militari per 4,5 miliardi di euro (il quinto posto al mondo in valore assoluto) e lanciando la coalizione degli F-16. Dentro la Nato ha fatto il suo dovere: nel 2024 la spesa per la difesa dei Paesi Bassi dovrebbe aggirarsi attorno al 2 per cento del pil. Quando Trump era alla Casa Bianca, ha osato interromperlo e contraddirlo in pubblico sui dazi (“no”, una guerra commerciale “non è positiva”), ma ha mantenuto buoni rapporti. All’ultima Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha invitato gli europei a smettere di “lamentarci e piagnucolare su Trump” e concentrarsi sull’Ucraina.
Anche il Regno Unito ha messo il suo peso dietro all’olandese. “Vogliamo un candidato solido”, ha detto un portavoce di Rishi Sunak: “Rutte è molto rispettato in tutta l’Alleanza, ha serie credenziali in materia di difesa e sicurezza e garantirà che l’Alleanza rimanga forte e pronta a difendere e fare deterrenza”. La Germania è sulla stessa linea. “Con la sua immensa esperienza, la sua grande competenza in politica di sicurezza e le sue forti capacità diplomatiche, è un candidato eccezionale”, ha spiegato il portavoce del cancelliere Olaf Scholz. L’Eliseo ha fatto sapere che anche la Francia appoggia l’olandese, sottolineando la stima reciproca tra Macron e Rutte. L’incoronazione potrebbe avvenire alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato di inizio aprile L’olandese prenderebbe il posto del norvegese Jens Soltenberg il primo ottobre, alla scadenza del mandato dell’attuale segretario generale. Chi tiene il pallottoliere dell’Alleanza atlantica sostiene che il premier olandese abbia raccolto finora i due terzi degli stati membri. Non è ancora sufficiente, Serve l’unanimità. Chi manca?
Dietro il nome di Rutte, le cui credenziali politiche non sono messe in discussione da nessuno, c’è una frattura ovest-est. Dopo l’aggressione russa dell’Ucraina, la Polonia e i Baltici speravano di ottenere il posto di segretario generale della Nato per uno dei loro: la guerra ha dato ragione a loro (e torto a Stati Uniti e Europa occidentale) sulla minaccia Putin. La premier estone, Kaja Kallas, e il ministro degli Esteri lettone, Krišjanis Karinš, avevano espresso la loro disponibilità, pungolando Rutte per non aver raggiunto ancora l’obiettivo del 2 per cento di spesa nella difesa. Ma Washington, Berlino e Parigi considerano Kallas e Karinš “troppo anti russi”, dice al Foglio un diplomatico. Nell’Europa dell’est c’è anche chi ha ambizioni strettamente personali. La Romania ha notificato la candidatura del presidente Klaus Iohannis, alla ricerca di un lavoro in vista della fine del suo mandato il primo dicembre. Infine ci sono i soliti guastafeste. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere di volere garanzie da Rutte sulla lotta al terrorismo (cioè i curdi) prima di dare il suo assenso. L’Ungheria di Viktor Orbán non si è ancora espressa.