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Alexei Navalny e la profezia di Orwell
La Russia di Putin come la “Fattoria degli animali”, che oggi diventa una premiata opera lirica composta da Alexander Raskatov. L’unico antidoto contro i regimi del terrore è la passione per la democrazia
La morte di Alexei Navalny è accaduta mentre mi trovavo all’Opera di stato di Vienna, durante le prove di Animal farm, una nuova opera lirica basata sull’omonimo racconto del 1954 di George Orwell: La fattoria degli animali. L’opera, premiata recentemente con il prestigioso International Opera Award, è stata composta da Alexander Raskatov con il libretto inglese di Ian Burton. Il pubblico italiano la potrà vedere al Teatro Massimo di Palermo il prossimo autunno.
Animal farm è una critica allo stalinismo attraverso una lucida allegoria dei meccanismi che ne regolano il potere.
La vicenda è quella di un gruppo di animali che fa la rivoluzione per spodestare Mr. Jones, il tirannico padrone della fattoria. L’euforia per essersi finalmente liberati dalle sferzate della sua frusta e dal suo giogo pesante è contagiosa; tutti gli animali sono raggianti, tanto da cantare all’unisono un coro che inneggia allo spirito democratico che d’ora in poi dovrà guidare il loro destino. Ma l’euforia inizia a vacillare non appena si tratta di distribuire la ricchezza: a chi deve andare, ad esempio, il latte che le mucche producono? “Verrà dato ai maiali!”, dicono i maiali. Perché? Perché loro hanno assunto delle gravose responsabilità di governo e quindi è giusto che abbiano delle tutele e siano messi nelle condizioni migliori per svolgere il loro compito.
Qualcuno storce il naso ma la cosa sembra finire lì. Invece è proprio da lì che poi tutto ha inizio.
La propaganda che abolisce ogni possibilità di dissenso, gli intellettuali asserviti, come Minimus che canta le gesta del maiale Napoleon
I maiali instaurano un regime di terrore edificato sul culto della personalità di Napoleon, il più astuto e pericoloso, che incarna la figura di Stalin. Attorno a lui altri maiali coordinano il potere, come ad esempio Squealer, che rappresenta Lavrentij Berija, il capo della polizia segreta stalinista. I maiali sono avidi e senza scrupoli. Non è concessa nessuna critica, la paura e il terrore ammutoliscono tutti gli altri, spaventati e plagiati da una propaganda costante che abolisce ogni possibilità di dissenso e si nutre anche di intellettuali asserviti al potere dittatoriale, come Minimus, che canta le gesta di Napoleon mettendo cultura e informazione al servizio della propaganda. Le nuove leggi, che promuovono gli ideali democratici sbandierati sotto il nome di “animalismo” e riassunti con il motto “Tutti gli animali sono uguali”, iniziano a essere abilmente modificate: “Nessun animale ucciderà un altro animale” diventa “Nessun animale ucciderà un altro animale senza motivo”; “Nessun animale dormirà in un letto” viene sottilmente modificato in “Nessun animale dormirà in un letto con lenzuola”; “Nessun animale berrà alcolici” è trasformato aggiungendo una postilla: “Nessun animale berrà alcolici in eccesso”.
Esistono varie versioni teatrali tratte dal racconto di Orwell, tra cui anche un film di animazione, uscito nel 1954 e finanziato in parte dalla Cia, che cambiò totalmente la conclusione della vicenda in modo che i maiali, che rappresentano i comunisti, venissero rovesciati dagli altri animali della fattoria. Il compito più arduo nella messa in scena dei personaggi di Orwell è quello di inventarsi il modo in cui trattare la fisionomia degli animali per evitare di annacquare la vicenda proponendola al pubblico come una storia per bambini, quando invece si tratta di una satira.
La satira non è solo uno scoppiettante fuoco d’artificio o un telo saponato su cui far capitombolare i protagonisti gambe all’aria, mostrando il loro lato ridicolo. La satira va maneggiata con cura perché è un acido corrosivo. Quando non corrode non è satira. La satira è un felino: ha un istinto predatorio e unghie per graffiare. Altrimenti sarebbe commedia, farsa o parodia. Per questo il potere teme la satira, perché non fa sconti, e affonda la lama dove la ferita è ancora sensibile.
La musica di Raskatov è satirica, inventa iperboli e situazioni paradossali, come nella scena di “Pigetta”, dove una piccola maialina (dall’inglese “Pig” con il diminutivo “etta”) viene adulata e poi sacrificata per il divertimento sadico del personaggio che incarna Berija, esecutore e ispiratore di molte persecuzioni e delitti. Ma è una scena che al tempo stesso prende in giro le convenzioni dell’opera lirica e del belcanto, con un risultato straniante e metateatrale.
La musica di Raskatov è satirica, prende in giro le convenzioni della lirica e del belcanto, con un risultato straniante e metateatrale
Animal farm di Raskatov è un’opera istrionica, audace, grottesca, vulcanica, in grado di assimilare l’eredità di Shostakovich (a cui è dedicata) nutrendosi di una grande teatralità narrativa. C’è spazio anche per il divertimento e la giocosità surreale. Infatti, nello spartito di Raskatov, oltre alle classiche indicazioni agogiche (lento, adagio, allegro…) si possono leggere anche una varietà molto divertente di nomi diversi, tutti rigorosamente in italiano: lamentoso, isterico, sinistro, feroce, fatale, severo, quasi sognando, con spavento, mistico, sarcastico, brutale… Questo evidenzia anche la sua passione per la nostra lingua e il desiderio, come lui stesso mi ha confermato, di realizzare un giorno un’opera con un libretto in italiano.
Mentre stavamo facendo le prove e questa musica per certi versi felliniana riempiva la sala del celebre teatro di Vienna, è giunta la notizia della morte di Alexei Navalny, un uomo che combatteva per la democrazia, aveva subìto il tentativo di un avvelenamento mortale e, nonostate tutto questo, aveva deciso di ritornare nella sua terra per testimoniare i valori in cui credeva. In quel preciso momento le parole di Orwell sono risuonate alle mie orecchie prepotentemente feroci e attuali, in un modo in cui speravo non dovessero esserlo affatto.
“Stricnina! Cianuro!”, gridano sulla scena i maiali mentre il cadavere del dissidente Snowball viene fatto sparire: nell’opera di Orwell, Snowball è l’antagonista di Napoleon, allegorica rappresentazione di Trockij, arrestato per attività rivoluzionarie, esiliato più volte in Siberia e infine assassinato. Chi non è d’accordo con Napoleon, viene eliminato.
“Stricnina! Cianuro!”, gridano i maiali mentre il cadavere del dissidente Snowball, allegorica rappresentazione di Trockij, viene fatto sparire
Con la chimica più raffinata si sono sviluppati non solo i più potenti insetticidi ma anche i veleni più maneggevoli, volatili, trasportabili. Armi perfette, invisibili, inodori. Anonime e silenziose. Ed è col veleno, infatti, che in questa trasposizione scenica i maiali regolano i loro conti in sospeso. Napoleon non si macchia di nessun delitto: ordina, gestisce, comanda, ma le sue zampe restano pure e immacolate, tali da poter essere dipinte un giorno su un’icona dorata a cui rivolgere culto e devozione. La mistica del potere necessita infatti di fedeli in adorazione in grado di diventare massa. E’ proprio “La nazionalizzazione delle masse” il modo in cui lo storico G. L. Mosse intitola uno dei suoi libri più acuti, nel quale ripercorre il processo della costruzione mediatica del Terzo Reich. Così avviene anche nella fattoria di Orwell: si creano bandiere, simboli, canti, ritualità, onorificenze, tali da costituire una retorica a cui far abbeverare tutti, ovipari e mammiferi, ungulati e palmati. E’ il potere che trasforma l’individuo in massa anonima e plaudente sotto il terrore della violenza. Boxer è il cavallo che, drogato da tutta questa propaganda, finirà per morire sfiancato dalla fatica ma convinto di essere il difensore della patria e di aver versato il proprio sudore per la giusta causa, salvo essere immediatamente condotto al macello affinché dalle sue carni malsane si possa ricavare almeno un pò di collagene. In Animal farm c’è un proposito nobile di uguaglianza, di condivisione, di fratellanza che viene calpestato e annichilito.
Di fronte a una storia come quella di Orwell e di fronte alla crudeltà che la biografia di Alexei Navalny testimonia, si rinnova il valore appassionato verso la parola “democrazia”, non come un concetto da sbandierare su un palco elettorale ma come come un esercizio da praticare. Bisogna infatti allenarsi ai valori, per poterli vivere e testimoniare. Così come si impara a suonare uno strumento musicale o si apprende uno sport: ci vuole allenamento, educazione e cura. Ci vuole il fiato per reggere la fatica. La democrazia è un esercizio quotidiano, che comporta una fatica a cui non bisogna rinunciare. Le scorciatoie che agevolano il percorso finiscono poi per essere quelle percorse dai cingolati che, incuranti di ogni geografia, devastano e distruggono ciecamente passando sopra a tutto, abbattendo ogni cosa che si venga a trovare sulla loro strada. La democrazia non procede per rettilinei; deve accogliere, accostare, equiparare, consultare. Per cui risulta spesso lenta e contorta, noiosa, ammaccata, con un andamento faticoso e poco affascinante. Ma “democrazia” è la parola più bella che esista per vivere in una fattoria dove il lavoro non è sfruttamento ma valore umano e in cui stare sotto lo stesso tetto permetta di poter condividere il benessere, nella legalità e con un rinnovato spirito umanistico che possa ribadire innanzitutto il bisogno di pace. E di non vivere nella paura.
Il regime di Napoleon impone di vivere con la paura addosso: galline, capre, mucche rispondono tutte terrorizzate alle inquisizioni del maiale che vuole mettere a tacere ogni voce fuori dal coro. Vivere in un contesto dove domina la paura non è vivere. E’ una sorta di sopravvivenza, uno stato larvale in cui il corpo rimane ingobbito su se stesso, per protezione, per un riflesso automatico, per non farsi vedere, non farsi notare. Anche in situazioni più ristrette della società, come quella famigliare o scolastica, chi ha paura sta in un cono d’ombra, dove il corpo scolora e lo spirito appassisce. La paura paralizza, uccide la vivacità delle espressioni del viso, lo rende una maschera pallida e servile. La paura di parlare, la paura di condividere, la paura di chiedere, la paura di esprimere un’idea, una critica, una domanda.
Vivere nella paura è la negazione della dignità. Vivere nella paura è la negazione del concetto di nascita e di crescita. Noi tutti ci guardiamo intorno cercando un orizzonte di pace e di armonia. Nelle relazioni sentimentali, nel mondo del lavoro, nel modo in cui organizzare le regole sociali. Ci guardiamo attorno a volte con spavento, consapevoli della precarietà a cui è appeso il filo sottile che regola la convivenza pacifica. Ma è solo ribadendo l’assoluta necessità di mantenere il rispetto per la dignità, pur nella complessità degli scontri e dei conflitti politici, che potremmo riuscire a restare umani e in pace. Nel libretto di Animal farm viene citata una frase attribuita a Stalin: “Se c’è una persona c’è un problema, se non c’è la persona non c’è il problema”. Navalny non c’è più, ma il problema di come vivere in libertà e democrazia esiste ancora nella fattoria.