Cambi al vertice
Abu Mazen accetta le dimissioni del suo premier. La forma del “giorno dopo Hamas”
Il premier palestinese Mohammad Shtayyeh ha presentato le sue dimissioni, accettate dal presidente dell'Anp. L’ipotesi del governo tecnico a Gaza, l’evacuazione a Rafah e le trattative a Doha
Tel Aviv. Anche se “il giorno dopo Hamas” tratteggiato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu non è ancora arrivato, quello dopo Abu Mazen sembra più vicino. E i due sono strettamente legati. L’agenzia di stampa Wafa ha riportato il discorso con cui ieri, all’inizio della seduta settimanale del gabinetto di governo a Ramallah, il premier palestinese Mohammad Shtayyeh ha presentato per iscritto le sue dimissioni, dopo averle annunciate il 20 febbraio al presidente Abu Mazen, che ieri in serata le ha accettate e gli ha chiesto di servire ad interim fino alla formazione di un nuovo governo. “Una decisione – ha spiegato il premier – che arriva alla luce degli sviluppi politici, di sicurezza ed economici legati all’aggressione contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, e della situazione senza precedenti di escalation in Cisgiordania, compresa la città di Gerusalemme”.
Ma anche, ha aggiunto, alla luce del “tentativo di fare dell’Autorità nazionale Palestinese un’autorità amministrativa di sicurezza senza contenuto politico”. “Di conseguenza – ha proseguito – vedo che la prossima fase e le sue sfide richiedono nuovi accordi governativi e politici che tengano conto della realtà emergente nella Striscia di Gaza, dei colloqui di unità nazionale e dell’urgente necessità di un consenso inter-palestinese basato su fondamenta nazionali, su una vasta partecipazione, sull’unità dei ranghi e sull’estensione della sovranità dell’Anp sulla terra della Palestina”.
Yossi Kuperwasser, ex direttore generale del ministero degli Affari strategici, ex capo del dipartimento di Ricerca dell’intelligence militare israeliana, e pertanto esperto in questioni di sicurezza, ha osservato che “vengono intraprese sempre più iniziative per facilitare una nuova realtà”, cioè il piano dell’Anp appoggiato dall’Amministrazione Biden negli Stati Uniti, di un governo di tecnocrati a Gaza, collegati in qualche modo a Ramallah. “L’atteso rimpasto del governo palestinese nelle prossime ore – osservava Kuperwasser prima della risposta di Abu Mazen – è una di queste iniziative e rafforza l’impressione che Hamas sia pronto a rinunciare al controllo civile di Gaza”. “Naturalmente – aggiunge il generale – siamo molto preoccupati che un governo così tecnocratico possa effettivamente prendere ordini da Hamas e dall’Anp. Ecco perché non ci fermeremo a questo”.
Condivide la stessa preoccupazione anche Michael Milstein, direttore del Forum sugli studi palestinesi al Centro Moshe Dayan dell’Università di Tel Aviv, che in un’analisi pubblicata nel fine settimana sul quotidiano Yedioth Ahronoth cerca di rivolgere lo sguardo ai possibili scenari futuri. Anche Milstein sostiene che “il giorno dopo Hamas”, nonostante i duri colpi che la fazione ha subìto a Gaza, non prevede la sua scomparsa come forza pubblica e politica dominante. “Nella migliore delle ipotesi – scrive – Hamas funzionerà come un’opposizione ribelle ma non violenta, simile ai Fratelli musulmani in Egitto. Nello scenario più probabile e peggiore, agirà come un’organizzazione clandestina armata che opera contro qualsiasi ordine emergente”.
Intanto l’esercito israeliano, ormai pronto e in attesa del comando di lanciare l’offensiva a Rafah, ha presentato al gabinetto di guerra un piano per l’evacuazione della popolazione civile dalle “zone di combattimento” della Striscia. I dettagli non sono ancora stati resi noti ufficialmente ma, secondo la testata Times of Israel che cita una fonte ufficiale, “tutto è ancora in discussione” e sul tavolo ci sarebbero varie ipotesi, tra cui un trasferimento di civili nella zona di Khan Yunis. Israele, stando alla stessa fonte, è in contatto con l’Egitto. Nel frattempo il gabinetto di guerra ha approvato una fornitura di aiuti umanitari al sud di Gaza “in modo da prevenire i saccheggi”.
Le truppe di Tsahal sono ancora attivamente impegnate in tutta la Striscia di Gaza, dove hanno individuato, perlustrato e infine distrutto un sistema sotterraneo di tunnel di collegamento lungo l’asse nord-sud della Striscia. “La rete di tunnel del terrore – ha spiegato il portavoce militare – collega l’ospedale turco, al confine dei campi [profughi] nel centro, all’edificio dell’Università Israa nel sud di Gaza City e arriva fino alla zona di Zeitoun”. All’interno delle gallerie c’erano “stanze dotate di servizi igienici, magazzini per armi e attrezzature da combattimento, una rete di pozzi ramificata, nonché cadaveri di terroristi”.
Il ministro israeliano Yoav Gallant, capo della Kirya, in un incontro con le famiglie dei soldati tenuti in ostaggio a Gaza, ha sottolineato il suo impegno personale e ha ribadito la posizione ufficiale dell’establishment della Difesa, secondo cui “il pieno ritorno dei civili nella zona settentrionale della Striscia di Gaza avverrà solo dopo la restituzione di tutti gli ostaggi”.
Il fronte di Hezbollah ha vissuto ieri un picco di escalation, con un attacco dell’aeronautica militare israeliana “nel profondo” del territorio libanese che ha colpito tre obiettivi nell’area di Baalbek, circa cento chilometri a nord-est della capitale Beirut. In un altro attacco dal cielo, nel sud del paese dei cedri, Israele ha preso di mira ed eliminato Hassan Hossein Salami, comandante di brigata che faceva parte dell’Unità Nasser di Hezbollah, responsabile di recenti lanci di missili verso l’alta Galilea e la città di Kiryat Shmona.
A Doha invece proseguono i colloqui sui due tavoli, quello di Hamas e quello di Israele, per raggiungere un accordo con la mediazione del Qatar, degli Stati Uniti e dell’Egitto.