Gli houthi e l'incubo del blackout di internet (che probabilmente non ci sarà)
Gli attacchi alle infrastrutture sottomarine che passano dal Mar Rosso potrebbero portare a qualche disservizio, ma la rete resisterà. Internet è un sistema così complesso che gli attacchi non sono solo parte integrante della sua natura ma ne rappresentano la sua forza
Si torna a parlare di houthi, dopo un probabile attacco alle infrastrutture sottomarine che passano attraverso il Mar Rosso, ovvero quei cavi che servono a portare parte del traffico internet in Europa. “Non si tratta più solo della sicurezza dei trasporti navali ma della sicurezza tout court, visto che pare le intenzioni degli Houthi siano quelle di aumentare il livello di attacchi", ha detto il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Servirà tempo e indagini per stabilire il sabotaggio da parte del gruppo che già da tempo attacca le navi cargo nell'area, ma era già noto il loro interesse all’infrastruttura della rete come parte di una strategia terroristica che vuole mettere in crisi gli asset di internet. Da settimane si parlava delle ipotesi, rilanciate dalle stesse telco yemenite, per cui gli houthi stavano pianificando di tagliare i cavi delle telecomunicazioni che passano di fronte alle coste dello Yemen.
Tra l’allarme e l’allarmismo c’è molta differenza, per questo non serve un atteggiamento pessimistico o – peggio ancora – affidarsi alla fantasia. E' difficile evitarlo in una società dove, ancora oggi, intere generazioni associano gli attacchi cibernetici a “War Games”, un film che ha parlato di hacker e internet ben prima che il grande pubblico sapesse dell’esistenza di una struttura del genere. Oggi non abbiamo un ragazzino che cerca videogame in anteprima e si trova per caso all’interno del Norad, il Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America, ma organizzazioni criminali gestite direttamente da alcuni “stati canaglia” e da malavitosi senza scrupoli. Per nostra fortuna, nonostante queste presenze, internet è un sistema così complesso che gli attacchi non sono solo parte integrante della sua natura ma ne rappresentano la sua forza.
Per comprenderlo bisogna superare un pregiudizio: internet è uno strumento, non nasce per garantire la pace mondiale e probabilmente nemmeno è nata per questo. Tornando ai tempi di “War Games”, proprio grazie a quel film emerse nella cultura popolare il concetto di “equilibro delle paranoie”: all’epoca si parlava dei difficili meccanismi di controdifesa mondiale, ma forse era solo un’anticipazione dell’internet che si sarebbe sviluppata da lì a un decennio. I legislatori americani hanno dato risposte alle paure scatenate da quella trama: non a caso, proprio in quei mesi, fu varata la legislazione anti-hacking con sanzioni volte a scoraggiare le intrusioni nel Norad. In realtà il “Computer Fraud and Abuse Act” del 1984 si occupava solo delle intrusioni bancarie e legate alla difesa ma, nel corso degli anni, la sua portata si è lentamente ampliata: "Quel film ha avuto un effetto significativo sul mio trattamento da parte del governo federale", disse a Wired qualche anno fa Kevin Mitnick. Ecco, questo è l’altro sforzo da compiere: non confondere le difficoltà della società contemporanea – gli stessi social network sono la cartina di tornasole della società e non di internet – con le paure di un blackout della rete.
I cavi in fibra che si trovano sul fondo del mare sono ben oltre la portata dei subacquei, solo le grandi potenze hanno la capacità navale per tagliarli ma questo non significa che i terroristi non possano avere interesse a farlo. Gli attacchi provocano danni – si ipotizzano settimane di lavoro per riparare i cavi, forse c’è il rischio che molte società non vogliano lavorare in una zona pericolosa come il Mar Rosso – ma alla fine il traffico dati subirà solo rallentamenti e qualche disservizio a catena. Certo, costeranno tanti soldi ma non ci sarà la fine di internet. Nel peggiore dei casi i dati dovranno fare strade più lunghe ma – come un veicolo su un itinerario alternativo – bene o male arriveranno a destinazione. Se internet non è la soluzione per prevenire il terrorismo, allo stesso tempo non conviene a nessuno spegnere la rete. Magari l’utopia degli inizi è scomparsa per rispondere a esigenze commerciali o di controllo governativo, ma la nostra navigazione è rimasta più libera di quel che sembra.