Mullah in laguna
Alla Biennale ci sono i più grandi carcerieri di artisti, ma pochi fiatano (mica è Israele)
L’Iran sarà ospite a Venezia con un suo padiglione dedicato alla "razza umana". E se per cacciare Israele si raccolgono migliaia di firme, per Teheran si è visto a malapena un appello
Il Pen America denuncia la condanna di Sepideh Rashno, scrittrice iraniana critica della legge del regime sull’hijab obbligatorio. Rashno è stata arrestata dopo un video che la mostrava su un autobus a capo scoperto e mentre litigava con una donna che stava cercando di costringerla a indossare il velo. Pena comminata: tre anni nel carcere di Evin. Rashno è stata accusata di “incoraggiamento alla promiscuità” e di aver “pubblicato immagini oscene online”. Secondo il Freedom To Write Index del Pen America, 57 scrittori iraniani sono stati arrestati in un solo anno, portando l’Iran al secondo posto al mondo fra i carcerieri di scrittori, subito dopo la Cina. I mullah di Teheran sono invece al primo posto tra i carcerieri delle scrittrici.
È morto con una corda al collo Mohsen Shekari, l’artista iraniano riconosciuto colpevole di “guerra contro Dio” dal tribunale della rivoluzione islamica di Teheran per aver preso parte alle proteste antigovernative scatenate dalla morte in custodia di Mahsa Amini, colpevole di non aver indossato il velo in modo “appropriato”. Atena Farghadani è stata a processo per un anno in Iran per aver realizzato una vignetta che criticava il regime iraniano. La sua gogna giuridica è continuata anche dopo la condanna a dodici anni di carcere, quando gli ayatollah l’hanno accusata di “adulterio” per aver stretto la mano al suo avvocato. Novantanove frustate per aver “insultato la divinità”, oltre che per aver stretto la mano in pubblico a una donna che non fa parte della sua famiglia, la condanna che il regime iraniano ha invece inflitto a Mehdi Mousavi, il poeta reo di non aver seguito i dettami di Ali Khamenei, che ha stabilito le regole per i “buoni poeti islamici” (sotto censura in Iran non ci sono soltanto titoli scabrosi come “Memoria delle mie puttane tristi” di Gabriel García Márquez, ma anche “Il muro” di Sartre e “La metamorfosi” di Kafka, per citare soltanto alcuni titoli).
Eppure, il 20 aprile l’Iran aprirà il suo padiglione alla Biennale di Venezia dedicato alla “razza umana”. E se per cacciare Israele dalla Biennale si raccolgono migliaia di firme, su Teheran si è visto a malapena un appello lanciato dall’organizzazione Woman Life Freedom e firmato dall’artista iraniana Shirin Neshat, dalla regista Marjane Satrapi, e in Italia dai registi Marco Bellocchio e Nanni Moretti. “La Repubblica islamica dell’Iran deve essere esclusa dalla Biennale di Venezia 2024” recita l’appello. “Nessuna legittimazione o visibilità a chi censura, perseguita e imprigiona gli artisti non allineati”. Non c’è soltanto che l’Iran impicca i gay, vuole la distruzione di Israele, finanzia il terrorismo in tutto il medio oriente, impedisce alle donne di girare per strada senza velo e ha causato il più grande esodo nella storia non per via di guerre o carestie (cinque milioni di iraniani sono fuggiti dal 1979, l’anno della Repubblica islamica).
L’Iran sotto gli ayatollah è diventato una grande prigione e tomba per gli artisti. Rahim Safavi, un capo dei pasdaran, la mise così: “Dovremmo tagliare la gola a qualcuno e la lingua a qualcun altro”. L’Iran ha condannato a morte lo scrittore e illustratore Mehdi Bahman con l’accusa di “spionaggio in favore di Israele”. Bahman aveva contattato una donna israeliana per far tradurre uno dei suoi libri in ebraico, in cui lo scrittore aveva sostenuto la normalizzazione dei rapporti tra Iran e Israele. Payam Feili aveva scritto un’opera, “Le tre stagioni”, bandita dagli ayatollah. Poeta omosessuale, Feili ha subìto la censura, gli arresti, le minacce e le vessazioni del regime teocratico iraniano, prima di riparare in Turchia e poi in Israele. Gli ayatollah costrinsero persino la casa editrice per la quale Feili lavorava come editor a licenziarlo. Appena arrivato a Tel Aviv, il poeta iraniano ha dichiarato: “Ma questo è il più bel posto del mondo”. Il posto dell’Iran invece non è alla Biennale, ma all’Aia, al posto di Israele.