la relazione
L'allarme dei servizi sulle ingerenze della Cina in Italia
Per la prima volta il rapporto intelligence parla della Cina come se fosse la Russia
Diaspora e criminalità, disinformazione e guerra ibrida nel nuovo rapporto annuale dell'intelligence italiana. Ma la politica ascolta?
A leggere l’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, il rapporto annuale presentato ieri nel quartier generale dei servizi italiani, a Piazza Dante a Roma, è chiaro che qualcosa è cambiato nell’attenzione alla Cina di Dis, Aise e Aisi, la rete delle forze d’intelligence che costituisce la struttura della sicurezza del paese. Lo spiega, rispondendo a una domanda del Foglio, la direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Elisabetta Belloni: “Il tema della Cina oggi è sul tavolo di tutte le democrazie occidentali”. E infatti non era mai successo che in una relazione italiana – quella pubblicata ieri si riferisce all’anno 2023 – ci fosse una così puntuale ricostruzione di tutta la rete di attività d’influenza e coercizione compiute dalla Cina anche nel nostro paese. Ma pure della sua trasformazione politica, a partire dal rallentamento economico e demografico che va di pari passo con un “irrigidimento ideologico dell’ordinamento”, con un controllo sempre più “pervasivo” da parte del Partito comunista che si traduce anche nel rafforzamento delle leggi sulla sicurezza nazionale. Belloni spiega che “quando si parla di vulnerabilità della globalizzazione, è evidente che la Cina ha trasformato l’interdipendenza economica in eccessiva dipendenza”, e così la coercizione economica cinese che impone una riflessione sulle nostre “vulnerabilità”. Ma è soprattutto il direttore dell’Aisi, Mario Parente, a mostrare su quali settori di sicurezza interna si sta concentrando l’intelligence italiana per quanto riguarda la Cina – e sembra parlare della Russia di qualche anno fa.
Tra le ingerenze straniere, alla minaccia russa si è aggiunta quella cinese, le cui modalità non riguardano solo i social e la disinformazione, spiega Parente, ma “si avvalgono molto anche della diaspora negli altri paesi per acquisire informazioni qualificate che possano essere usate anche a livello politico”. Le operazioni di spionaggio per acquisire informazioni e anche tecnologia li porta “a rivolgersi anche ai circuiti universitari”. Anche questo è un inedito: il capo dei servizi interni manda un messaggio molto diretto a chi tenta da tempo di minimizzare il problema cinese in Italia, specialmente per quanto riguarda le attività di dialogo e diplomazia accademica e scientifica, e parla di università molto qualificate nel nostro paese “che possono essere facilmente infiltrate tramite finanziamenti più o meno mediati”. Non solo: Parente dice che ogni volta che ci sia stata una situazione di questo tipo considerata a rischio, l’Aisi avrebbe messo in condizione “il decisore politico” di poter intervenire. “Se ci verrà detto che per motivi strategici non possiamo fare accordi con la Cina non li faremo, ma ribadisco che aprire alle collaborazioni è importante”, aveva detto la presidente del Consiglio nazionale delle ricerche Maria Chiara Carrozza in un’intervista a questo giornale un mese fa. La relazione dell’intelligence analizza poi la presenza cinese in Africa, la criminalità che colpisce il sistema finanziario in Italia, l’alleanza con la Russia anche sulla disinformazione e sulle minacce cyber. Eppure la politica sembra non ascoltare. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano dice: “Piuttosto che preoccuparci di ciò che la Cina fa nei confronti dell’Italia, dovremmo preoccuparci di qual è il nostro atteggiamento: se il Fondo monetario internazionale nega prestiti consistenti a paesi africani perché pretende come precondizione il rispetto dei diritti umani, non c’è da meravigliarsi se poi i governanti di questi paesi si rivolgono alla Cina”.