Dopo il 7 ottobre
Lo sfregio di Hamas che mette in mostra gli ostaggi uccisi e dice: “Il prezzo è lo stesso”
Il format del terrorismo psicologico ha superato un altro confine. L'attesa sulla fine di tre ostaggi israeliani ha avuto una conclusione tragica oltre ogni aspettativa
Tel Aviv. Auguri per compleanni trascorsi in prigionia. Cuori e altri simboli di amore e di affetto. Messaggi di speranza per una liberazione prossima che, a giudicare dalle date lasciate dai passeggeri in transito che li hanno scritti, è stata disattesa. La rampa dell’aeroporto Ben Gurion, memento per i viaggiatori sul destino degli ostaggi israeliani a Gaza nelle mani di Hamas e delle altre fazioni palestinesi nella Striscia, potrebbe svuotarsi presto di una settantina dei loro ritratti. Il gruppo islamista ha annunciato ieri su Telegram, in un flusso macabro di messaggi, meme e video prodotti come armi di propaganda, che “il numero dei prigionieri nemici uccisi a seguito delle operazioni militari” israeliane nella Striscia “potrebbe superare i settanta”.
Se accertata, è chiaro l’impatto della notizia sulla dinamica delle trattative per l’accordo tra Israele e Hamas. Tanto che l’organizzazione di Gaza, nello stesso messaggio, ha chiarito che “il prezzo che chiederemo in cambio di cinque o dieci prigionieri vivi è lo stesso prezzo che avremmo preteso se i bombardamenti del nemico non li avessero uccisi”. Il format del terrorismo psicologico ha superato un altro confine. Quello che era atteso come epilogo di un indovinello dell’orrore sulla fine di tre ostaggi israeliani (“Sono tutti morti? Sono ancora vivi? Alcuni sono stati uccisi ma altri sopravvivono?”) ha avuto una conclusione tragica oltre ogni aspettativa. Gli ostaggi morti, secondo Hamas, sono sette. Tra questi Chaim Peri (79 anni), Amiram Cooper (84) e Yoram Metzger (80), già protagonisti, loro malgrado, di un video girato il 18 dicembre 2023. In quella occasione i tre kibbutznikim di Nir Oz erano stati mostrati in t-shirt bianca e barba lunga mentre rivolgevano un appello a casa: “Non lasciateci invecchiare qui” e “non abbandonateci nella vecchiaia”, espressione presa in prestito dal Salmo 71 della Bibbia ebraica. Peri, portavoce del trio, andava avanti dicendo: “Sono qui con un gruppo di persone anziane. Hanno tutti malattie croniche e vivono in condizioni molto dure. Siamo la generazione che ha fondato Israele. Non comprendiamo perché siamo stati abbandonati qui”. Infine, la richiesta di riscatto di Hamas per suo tramite: “Ci dovete rilasciare, costi quel che costi. Non vogliamo finire vittime sotto i bombardamenti di Israele. Rilasciateci senza condizioni”. All’epoca, il portavoce militare Daniel Hagari aveva detto in conferenza stampa che l’esercito stava facendo di tutto per riportarli a casa “sani e salvi”. “Non avremo pace finché non tornerete”, aveva dichiarato, rivolgendosi direttamente ai connazionali rapiti. Oltre a loro – continuava il messaggio di ieri di Hamas su Telegram – “annunceremo successivamente i nomi degli altri quattro morti, dopo averne confermato l’identità”. Una difficoltà che è spiegata nel testo con l’interruzione dei contatti con i mujaheddin incaricati di sorvegliare gli ostaggi, rimasti uccisi negli attacchi di Tsahal nell’enclave.
Ci si può aspettare, come di prassi, che Israele commenterà solo dopo che l’intelligence avrà verificato la veridicità delle informazioni e solo dopo che le famiglie di tutte le vittime saranno state informate. Intanto però l’accordo candidamente annunciato per lunedì dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden da una gelateria di Cleveland si allontana e sfuma. Se già la delegazione israeliana aveva fornito al Cairo un elenco di detenuti palestinesi che l’establishment di sicurezza non è disposto a liberare per nessun motivo, dopo gli sviluppi più recenti Israele ha chiarito a Egitto e Qatar, i mediatori che hanno il filo diretto con la controparte nemica, che non ci saranno più colloqui né trattative finché Hamas non avrà fornito l’elenco degli ostaggi ancora vivi a Gaza.
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