Il metodo di sorveglianza in Russia ha sempre più "caratteristiche cinesi"
Gli arresti in differita dopo i funerali di Navalny, grazie alle telecamere con riconoscimento facciale, partono da Pechino. Dal programma "occhi acuti" di Xi Jinping al "cyber gulag" russo
Roma. Nei giorni precedenti ai funerali di Navalny, erano iniziati a circolare video di agenti del Cremlino che installavano telecamere di sorveglianza sui lampioni fuori dal cimitero di Borisovskoye. Era evidente che quelle telecamere servissero in un secondo momento, come arma per reprimere il dissenso: dopo le lunghe file, le urla “no alla guerra”, le montagne di fiori, gli arresti sono arrivati a distanza di una settimana, bussando alle porte di casa. Lo stesso metodo fu applicato a dicembre 2022 in Cina, quando in migliaia scesero per le strade di Shanghai e delle principali città cinesi per protestare contro la strategia “Zero Covid” del presidente Xi Jinping. Per fare il verso alla censura usarono dei fogli bianchi, non bastarono: anche in quel caso gli arresti arrivarono dopo, i poliziotti bussarono casa per casa dopo aver visionato le riprese delle telecamere.
E’ dai primi anni Duemila che Pechino si affida al riconoscimento facciale per identificare dissidenti, manifestanti e minoranze etniche: nello Xinjiang nei confronti della popolazione uigura, in Tibet, in Mongolia interna, a Hong Kong. La Russia di Putin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina ha imparato dal sofisticato sistema di sorveglianza cinese – così come l’Iran dalle proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini, a settembre 2022 – per inasprire la repressione del dissenso. Le 160 mila telecamere installate nel 2017 nella città di Mosca sono diventate oltre 200 mila, inizialmente avevano uno scopo di sicurezza, oggi vengono utilizzate per incarcerare i manifestanti. Iniziò sempre con Navalny, nel 2021, quando scoppiarono le proteste per la sua incarcerazione: settimane dopo le stesse telecamere di Mosca diedero il via agli arresti. Dal 2022, la Russia ha speso circa 330 milioni di dollari soltanto per l’archiviazione di video di sorveglianza – un terzo dell’importo totale speso negli ultimi 12 anni. E’ un metodo per aumentare lo stato di sorveglianza dei regimi attraverso la tecnologia: vuole intimidire, non far sentire nessuno al sicuro. Come all’indomani delle proteste a piazza Tiananmen i funzionari del Partito comunista cinese setacciarono testimoni e sopravvissuti attraverso torture e confessioni, così i software oggi elaborano le immagini raccolte dalle telecamere. Xi Jinping ha chiamato uno di questi programmi di sorveglianza “occhi acuti”, riprendendo uno slogan comunista secondo cui le masse avevano il compito di spiarsi a vicenda.
La sorveglianza tecnologica in Russia è stata invece definita “cyber gulag” poiché torna indietro ai metodi sovietici nei confronti dei prigionieri politici. E’ anche per questo che le code come quelle per il funerale di Navalny, le urla “no alla guerra”, sono considerate eventi rari ed eccezionali in Cina: Xi ha instaurato un clima psicologico di terrore in cui ogni cinese è consapevole che alle dimostrazioni pubbliche di opposizione non c’è margine di salvezza. Le proteste sono underground, spesso online, cercano di schivare il Great Firewall con giochi di parole. Anche la censura russa, regolata dal Roskomnadzor, sembra avvicinarsi sempre di più a quella cinese: pochi mesi fa Mosca ha annunciato l’avvio di Oculus, un sistema di intelligenza artificiale che individua contenuti vietati online ed è in grado di analizzare oltre 200 mila immagini al giorno.