Dopo il 7 ottobre
Si chiamano Non Una di Meno ma bisognerebbe chiamarle Qualcuna di troppo
Nell’appello per le manifestazioni e lo sciopero dell'8 marzo nessuna traccia del femminicidio di massa e degli stupri commessi da Hamas il 7 ottobre. Il marziano che sbarcasse oggi in Italia non avrebbe dubbi: è Israele il nemico delle donne
Si fanno chiamare Non Una di Meno, ma è il caso di cominciare a chiamarle Qualcuna di Troppo. Nell’appello per le manifestazioni e lo sciopero di questo 8 marzo, così come era accaduto per l’iniziativa nazionale contro la violenza sulle donne dello scorso novembre, invano si cercherà traccia del femminicidio di massa, degli abusi, degli stupri, delle atroci violenze che Hamas ha commesso il 7 ottobre 2023 sulle donne in Israele. Se sei israeliana, insomma, per le transfemministe di NUDM quella di troppo sei tu. Lo sei anche dopo che la rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, ha dovuto ammettere, a cinque mesi di distanza dal pogrom, che le informazioni sulle violenze sessuali commesse da Hamas, “inclusi stupri, torture sessuali e trattamenti crudeli disumani e degradanti”, sono “chiare e convincenti”, e che quelle violenze continuano, con ogni probabilità, su chi è ancora tenuto in ostaggio dai terroristi.
Ecco brillare invece, tra gli orrori del patriarcato enumerati da Non Una di Meno nell’appello per l’8 marzo, una chiara condanna definitiva. Nei confronti di Hamas? Ma no: “Scioperare contro il patriarcato significa reclamare l’immediato cessate il fuoco su Gaza per fermare il genocidio, la fine dell’apartheid e dell’occupazione coloniale in Palestina”. Il marziano che sbarcasse oggi in Italia non avrebbe dubbi: è Israele il nemico delle donne. Lo pensano di sicuro le tante, giovani marziane che rallegrano le nostre piazze, ornate di kefiah e dotate di cultura storica squisitamente marziana. Lo pensano pure, per esempio, alla Fisac Cgil, che nella locandina per questo 8 marzo, in cui ammicca la famosa donna che mostra i muscoli (proprio lei, “We can do it!”, 1943, immagine simbolo delle donne americane che si univano allo sforzo bellico nella Seconda guerra mondiale: ma alla Fisac Cgil l’avranno mai saputo?), tra una transizione ecologica e una scuola senza la “violenza del merito e dell’umiliazione”, lancia l’appello “per la pace, l’autodeterminazione dei popoli, contro il genocidio di Gaza”. Le violenze del 7 ottobre? Non pervenute.
Stavolta però lo zelo di Non Una di Meno, madre di tutte le trans-rimozioni, ha davvero superato se stesso. Se nell’appello per l’8 marzo dello scorso anno c’era almeno una frase in cui si prendeva posizione a fianco delle “donne curde, afghane e iraniane e alle donne che in tutto il mondo stanno lottando per una vita libera dall’oppressione”, quest’anno le iraniane, le curde e le afghane hanno fatto la stessa fine delle israeliane. Sparite, cassate, ignorate. Non sia mai che gli amici iraniani di Hamas, come loro persecutori seriali e istituzionali delle donne e di ogni loro libertà, si sentano chiamati in causa. Donna vita libertà? Boh, deve esserci stato un errore. L’islam politico radicale è il nemico giurato di tutte le donne del mondo? Ma che esagerazione, hanno pensato a Non Una di meno, l’oppressione delle donne è faccenda che riguarda solo Israele e l’occidente, tutt’al più il ministro Valditara e “la violenza del merito” a scuola. Vogliamo mettere l’atroce umiliazione di un sei meno meno con gli stupri di Hamas e i linciaggi in Iran?