medio oriente

La strategia di Hamas è aumentare le vittime e il prezzo dell'accordo

Micol Flammini

Inizia il Ramadan e i negoziati sono fermi, Sinwar chiede ai suoi sostenitori azioni in Cisgiordania e Gerusalemme

Non c’è un accordo sul rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza prima del Ramadan, che inizia domani, e anzi, per Yahya Sinwar, il leader di Hamas nascosto dentro alla Striscia, il Ramadan è il momento  giusto per aumentare  la violenza e puntare sulle  tensioni in Cisgiordania e a Gerusalemme. Giovedì Hamas ha mandato una nota sul Ramadan ai suoi sostenitori, ha chiesto “di fare dei suoi giorni e delle sue notti un campo di sostegno e di vittoria per il nostro popolo nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme e nella benedetta moschea di al Aqsa”.  Anche in passato i terroristi della Striscia hanno puntato sul Ramadan  per attaccare Israele. La speranza americana di un cessate il fuoco è ferma, Israele aveva chiesto una lista degli ostaggi che non ha mai ottenuto e Hamas non ha acconsentito al rilascio dei prigionieri malati, dei bambini e delle donne in cambio di una pausa dei combattimenti e della liberazione di alcuni palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. In questo momento è Sinwar a prendere le decisioni, mentre ai negoziati partecipano altri leader del gruppo, come Ismail Haniyeh che ha un piano diverso, cerca di far passare l’idea di una normalizzazione politica di Hamas per avere un futuro nella Striscia. 


Funzionari egiziani che hanno preso parte ai negoziati hanno raccontato al Wall Street Journal che Sinwar crede  sia il momento di aumentare la pressione e che sia Hamas a poter prendere il sopravvento nei colloqui, quindi a poter  dettare le condizioni. La situazione nella Striscia è grave, il nord di Gaza fa fatica ad avere rifornimenti ancora più del sud,  gli Stati Uniti hanno promesso l’apertura di un porto temporaneo per far arrivare più aiuti e Israele sta lavorando all’apertura di un varco a nord. La crisi dentro Gaza viene usata da Hamas per far aumentare la pressione internazionale su Israele, per Sinwar il cessate il fuoco può aspettare: più passa il tempo, più aumentano i danni, più alza il prezzo. Sinwar è l’uomo più ricercato da Israele, il regista del 7 ottobre e il leader che ha potenziato i rapporti con Hezbollah in Libano e con l’Iran, dal tunnel in cui si trova segue con molta attenzione quello che accade fuori e crede di poter inasprire la sua posizione negoziale approfittando di un rapporto tra Israele e  Stati Uniti che va avanti tra molte difficoltà e differenze, anche se finora  l’alleanza non si è mai rotta. Prima il viaggio di Benny Gantz negli Stati Uniti e poi le parole del ministro degli Esteri britannico David Cameron all’ex ministro della Difesa, dal tunnel sono stati presi come  segnali di una pazienza destinata a esaurirsi e la tattica di Sinwar è aspettare sottoterra, mentre fuori, la Striscia è nel caos. Un cessate il fuoco avrebbe trattenuto Israele da quello che considera il prossimo passo necessario: l’invasione di Rafah, nell’estremo sud della Striscia dove, secondo le informazioni di Gerusalemme ci sarebbero quattro battaglioni di Hamas. Rafah è anche l’ultimo punto di rifugio dei palestinesi e un’operazione dell’esercito dovrebbe essere realizzata per settori, mettendo in salvo la popolazione civile. Sinwar ha deciso di trascinare Israele a Rafah per aumentare i danni e quindi la pressione internazionale, trattenere gli ostaggi, di cui non si sa nulla, per alimentare invece quella interna allo stato ebraico, in cui non passa giorno che le famiglie dei rapiti non marcino per le strade del paese chiedendo la liberazione, costi quel che costi. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)