Il virus dell'antisemitismo che si risveglia
In Germania l’impennata di atti discriminatori registrata dopo il 7 ottobre ha una simbologia sinistra e allarma la classe politica, che tenta di correre ai ripari. Parla Henryk Broder, intellettuale ebreo di origine polacca, giornalista e commentatore
Berlino. Uno zoccolo antisemita è sempre esistito in Occidente, e anche in Europa non è un fenomeno nuovo, ma adesso, dopo il massacro di ebrei da parte di Hamas il 7 ottobre, e la risposta di Israele con la guerra a Gaza, l’antisemitismo ha subito una drastica impennata. Le statistiche in Germania lo dimostrano. Le élite intellettuali, l’opinione pubblica e la mobilitazione popolare nelle piazze e negli atenei parteggiano per la Palestina, per la causa palestinese e Gaza, e la strage del 7 ottobre nel discorso pubblico viene spesso ignorata se non giustificata come reazione alla politica di occupazione israeliana. “Free Palestine”, “From the Sea to the Jordan”, sono slogan ricorrenti, scanditi o esibiti, alle dimostrazioni anti Israele, anche se non sono mancate le manifestazioni di solidarietà a Israele.
L’antisemitismo latente in molti paesi occidentali dopo il 7 ottobre si è riacceso, alimentato dalla guerra e altri temi di maggiore o minore attualità come quello, molto dibattuto soprattutto in Germania e Francia, del colonialismo e delle colpe di cui si sono macchiati i paesi occidentali in Africa, in Asia e in medio oriente. La guerra a Gaza ha fatto da propulsore a un antisemitismo serpeggiante, legato anche all’incremento della migrazione di origine araba e confessione musulmana, di recente approdo ma anche di seconda, terza generazione: magrebini in Francia e turchi, ma non solo, in Germania: dopo l’anno della crisi migratoria 2015 sono arrivati molti profughi siriani, afghani e iracheni. Secondo indagini, la recrudescenza dell’antisemitismo si spiega con l’avanzata dell’estrema destra e dell’AfD, con il radicalismo islamico, le teorie complottistiche e l’estremismo di sinistra.
L’antisemitismo ha sempre accompagnato l’ebraismo, prima e dopo la fondazione dello Stato di Israele nel 1948, ed è antico quanto la storia stessa di duemila anni degli ebrei: da quello cristiano, al Medioevo, al XVIII e XIX secolo, caratterizzato da alti e bassi, recrudescenze e attenuazioni, persecuzioni e violenze più o meno efferate a seconda dei paesi e dei periodi storici, con l’apice nefasto dell’Olocausto con sei milioni di ebrei sterminati.
“E’ vero, l’antisemitismo è sempre esistito, è come un virus che dorme e poi si risveglia, ma prima era contro gli ebrei, ora è contro Israele”, dice al telefono Henryk Broder, intellettuale ebreo di origine polacca, giornalista e commentatore fra i più brillanti, e polemici, della Germania. Il maggiore massacro di ebrei dopo l’Olocausto, il 7 ottobre, è culminato nelle maggiori manifestazioni antisemite. “Israele – ha detto citando Adorno – è l’ebreo fra gli stati”. C’è sempre un pretesto per scagliarsi contro gli ebrei ma questa violenza contro Israele è nuova. “Oggi fa chic, è rivoluzionario, stare con i palestinesi”, ci sono massacri spaventosi della popolazione in Yemen, in Siria contro i palestinesi e anche gli ebrei, “al cui confronto Gaza è una ‘bagatella’ ma non gliene frega niente a nessuno, penso che in fondo anche della sofferenza dei palestinesi non importi niente, interessa solo prendersela con gli ebrei e ora è stato trovato il pretesto”: la realtà è che “sono Judenhasser”, odiano gli ebrei.
I tedeschi hanno imparato la lezione del passato? “Penso che la maggioranza abbia imparato dalla storia, ma non le élite intellettuali. August Bebel (cofondatore della socialdemocrazia) diceva che l’antisemitismo è il ‘socialismo dei cretini’: ci sono sempre state élite antisemite, nella monarchia, nella Repubblica di Weimar, lo stesso Karl Marx, e oggi sono quelle intellettuali. Purtroppo non esiste una ricetta, forse l’odio contro gli ebrei è ereditario. L’Olocausto ha preso i tedeschi alla gola, non riescono a liberarsene e il solo modo è una nuova persecuzione: l’Olocausto può scomparire solo con la prossima catastrofe antisemita nel mondo libero”.
L’antisemitismo in Germania ha una valenza aggravante a causa del passato? “E’ un’opinione diffusa ma io non credo, anzi qui ci sono state reazioni più forti che altrove, in America è molto peggio. Le reazioni in Germania sono state forti ma non cambia nulla, lo si affronta come un problema amministrativo proponendo più educazione, prevenzione, ma non serve, non si capisce che l’antisemitismo è una vera passione, forse è impossibile combatterlo con misure di contrasto ma solo con la repressione”.
La comunità ebraica in Germania è oggi la terza in Europa dopo Francia e Gran Bretagna e conta circa 95.000 membri, ma in senso lato si calcola che gli ebrei che vivono nel paese siano circa 225.000. Con la guerra in Ucraina, dove prima vivevano circa 300.000 ebrei, molti sono fuggiti e a quasi 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e delle barbarie compiute nel paese dai nazisti, circa 3.500 ebrei ucraini hanno oggi trovato rifugio in Germania.
Prima dell’avvento di Hitler al potere nel 1933, la comunità ebraica nel Reich Tedesco contava 560.000 membri. Si calcola che fra il 1933 e 1945 55.000 ebrei tedeschi delle comunità cittadine siano stati uccisi nella Shoah, la maggior parte degli altri sono fuggiti o sono stati cacciati. Solo 9.000 sono sopravvissuti in clandestinità o perché sposati con non ebrei.
Con la Shoah si rischiava l’estinzione: nel 1950 vivevano nella Germania dell’Ovest solo 15.000 ebrei. Con il crollo dell’Urss si è registrato dal 1990 un grande afflusso di ebrei dall’ex Unione Sovietica, oltre 200.000 migranti. La principale rappresentanza oggi è il Consiglio centrale degli ebrei in Germania, fondato a Francoforte nel 1950. Raccoglie 105 comunità (le maggiori sono Berlino, Monaco, Francoforte) e si prefigge la cura degli interessi della comunità, l’integrazione e la tutela del patrimonio culturale ebraico-tedesco. Dagli anni 2000 si registra un calo dei membri e una crisi demografica: circa la metà nel 2021 aveva più di 60 anni. Esistono oltre 100 sinagoghe di cui dieci a Berlino. Nel 1933 c’erano in Germania 2.800 sinagoghe, di queste 1.400 furono distrutte dai nazisti nella notte dei cristalli (9 novembre 1938) e molte seguirono dopo. Prima, gli ebrei a Berlino vivevano nei distretti attorno all’Hackescher Markt, oggi meta turistica prediletta, Alexanderplatz e Kreuzberg. Oggi in prevalenza nei distretti borghesi di Charlottenburg e Wilmersdorf (a Ovest).
In Germania – la terra dove la Shoah è stata pianificata e attuata, con Berlino capitale del Terzo Reich, centro del potere nazista e teatro della Conferenza di Wannsee, dove il 20 gennaio 1942 fu decisa la “soluzione finale della questione ebraica” – l’impennata antisemita dopo il 7 ottobre ha una simbologia sinistra, e allarma la classe politica che tenta di correre ai ripari. Bandiere di Israele bruciate, manifestazioni pro Palestina con slogan antisemiti, aule universitarie occupate e palcoscenico di propaganda anti israeliana, attentati a istituzioni ebraiche, compresa una sinagoga a Berlino, stella di Davide e scritte “Juden” su case e negozi di ebrei, insulti, offese e aggressioni a ebrei per strada come nel caso dello studente della Freie Universität, Lahav Shapira, pestato in pieno giorno in una piazza del centro da un coetaneo di origine araba e finito in brutte condizioni all’ospedale. Le aule della Humboldt e della Freie Universität trasformate in tribune per attacchi a Israele: una conferenza internazionale di esperti di diritto, con la partecipazione di Daphne Barak-Erez, giudice della Corte suprema israeliana, è stata interrotta a causa dei tumulti di attivisti filopalestinesi.
Secondo dati dell’incaricato del governo federale per l’antisemitismo, Felix Klein, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre sono stati registrati in Germania circa 2.250 reati di matrice antisemita contro 2.300 in tutto il 2023: “un livello vergognosamente alto” e quel che è peggio è che trova poca o nessuna rilevanza nei media. Nelle aule universitarie, scrive Klein sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ricorrendo al costrutto teorico del movimento postcoloniale, si assiste a una “demonizzazione di Israele” di “progetto imperialista di insediamento postcoloniale” con “finalità genocide”. In questo schema gli ebrei sono i colonizzatori bianchi che opprimono i non bianchi palestinesi. Si dimentica che la società israeliana è composta anche di profughi fuggiti da Iran, Etiopia, Yemen e da oltre un milione di musulmani, e si ignorano del tutto le discriminazioni contro altre minoranze come gli Uiguri in Cina, i Rohingya in Myhanmar, o i massacri di cristiani in Nigeria. Il brutto è che questo antisemitismo, che è solo la punta dell’iceberg, si ritiene moralmente superiore. Spaventano non solo gli applausi nelle aule universitarie ma anche l’inazione dei responsabili degli atenei.
Per Josef Schuster, presidente del Consiglio centrale degli Ebrei in Germania, in realtà il numero degli atti antisemiti è molto superiore perché alcuni casi non vengono registrati affatto oppure rientrano nelle statistiche come reati di stampo di estrema destra. “Uguale il modo come si cerca di mascherarlo, ma si tratta sempre di antisemitismo”, ha sottolineato.
Un sondaggio commissionato dalla Fondazione Bertelsmann condotto a giugno e luglio, prima quindi del 7 ottobre, su 11.000 persone di sei stati europei fra cui Germania, Francia e Gran Bretagna, indica che fra il 31 e 51 per cento a seconda dei paesi sottoscrive la frase che “ciò che fa oggi lo Stato di Israele con i palestinesi è in linea di principio la stessa cosa che hanno fatto i nazisti nel Terzo Reich con gli ebrei”. Fra i tedeschi la percentuale è del 43 per cento (la media è del 38). Alla domanda se gli “ebrei hanno troppa influenza nel nostro paese”, fra il 15 e il 29 per cento hanno risposto di sì (in Germania il 21).
Fra le cause si indica in genere l’islamismo, o l’estremismo di destra e di sinistra. Per Broder “è un problema globale, una maledizione eterna. Ogni due secoli gli ebrei devono pagare: la politica di insediamenti è solo una scusa, non c’era in Russia o nel nazismo e i pogrom e la Shoah ci sono stati lo stesso. Ci sono stragi di minoranze armene o di cristiani in Nigeria ma non interessano. L’antisemitismo è parte del Dna globale: se gli ebrei si difendono vengono criticati, non devono reagire, più si difendono e più sono colpevoli, sono condannati a farsi ammazzare. La causa è nella natura umana, gli ebrei si prestano alla maledizione divina”.
La risposta della politica in Germania è adeguata? “Totalmente inadeguata: propone più assistenti sociali, più soldi contro la povertà infantile, più programmi educativi: ma se c’è una cosa che non manca sono i programmi sul nazismo, non sono la soluzione, basta pensare che negli anni Venti e Trenta i tedeschi erano i più istruiti in Europa”.
L’antisemitismo è immanente, entra solo in pausa ogni tanto. Sbagliata per Broder anche la proposta del presidente del Consiglio ebraico Schuster di fare prevenzione sui bambini. “E’ come fare prevenzione sull’alcool coi piccoli: così diventano alcolizzati”.
“La Germania è piena di incaricati per l’antisemitismo, uno per ogni Land, più cinque solo a Berlino: oltre a quello del governo persino uno nella polizia. Non servono. Cinque anni fa la situazione non era così grave, penso che l’inasprimento sia legato al forte aumento dell’immigrazione, un antisemitismo ‘importato’ anche se non credo si siano intenzionalmente importate masse dal medio oriente in Europa. Vale quanto disse una volta l’esperto Scholl-Latour: se trapianti Calcutta in Europa, il risultato è che hai due Calcutta”.
Broder se la prende anche con la Berlinale, dove alla cerimonia finale il 24 febbraio si sono susseguiti appelli pro Palestina contro Israele con seguito di scandalo politico (che ancora non si placa). “Nessuno ha protestato salvo poi indignarsi a posteriori: tutti in sala, anche i politici, hanno applaudito ma poi si sono distanziati sollecitando un’indagine, tipica reazione tedesca, tutti coinvolti e poi negare: una virtù tedesca rispondere con misure burocratiche”.
Capisce quegli ebrei che non si sentono più sicuri e pensano di emigrare?
“Certo, è una reazione normale. Ma vuol dire che gli ebrei non vogliono prendere sul serio la realtà, si accontentano che lo Stato li protegga. Anni fa degli amici erano felici di avere il cellulare della Merkel per ogni evenienza… Non serve, basta vedere quel ragazzo aggredito, con la faccia rovinata, da un altro studente arabo alla Freie Universität: la direzione ha sospeso l’aggressore per qualche mese, ma non gli ha revocato l’immatricolazione e cacciato”.
Quale è stata la sua reazione il 7 ottobre? “Sono rimasto senza parole. Eppure, come per l’11 settembre a New York, sono bastati tre giorni perché partisse la relativizzazione, i ‘sì, ma’, e si desse la colpa a Israele. Basta vedere le reazioni di Guterres (Antonio, segretario generale dell’Onu), Borrel (Josep, responsabile Ue per la politica estera) e Heusgen (Christoph, presidente della conferenza di Monaco sulla sicurezza e ex consigliere della Merkel). Tutti vogliono contestualizzare, anche lo stupro”.