L'analisi del voto
In Portogallo la destra rovina la festa al centrodestra
Il vero vincitore delle elezioni legislative è il partito di destra Chega. A pagarne le conseguenze in termini di voti sono soprattutto i liberali, fermati da quello che è l'estremismo
Lisbona. La lunga maratona elettorale portoghese del 10 marzo è iniziata con un vantaggio piuttosto netto agli exit poll per i conservatori di Alleanza democratica (Ad), ma poi è finita con i socialisti (28,6 per cento) che recuperavano terreno e una vittoria di Ad al fotofinish (29,5 per cento). E questa coalizione di socialdemocratici, popolari e monarchici sulla carta potrebbe persino perdere, visti gli esiti ancora incerti del voto all’estero (che nel Parlamento monocamerale di Lisbona elegge quattro dei 230 deputati).
Lo scarto è così scarso che un leader trumpiano griderebbe al furto e scalderebbe i picchiatori a bordo Capitol Hill. Invece il socialista Pedro Nuno Santos, parlando già ben oltre la mezzanotte, ha riconosciuto la sconfitta senza mezzi termini. Gli dà meno grattacapi. Toccherà infatti al vincitore, il socialdemocratico Luís Montenegro (in Portogallo il Psd è di centrodestra), far quadrare il cerchio della governabilità. In Portogallo, senza un esplicito voto di sfiducia, il governo può sempre insediarsi, ma se vuole far passare le sue leggi deve cercarsi volta per volta i voti in Aula. In ciò era famosa la capacità negoziale di António Guterres (chissà che non gli abbia fatto buon gioco per arrivare così in alto all’Onu). Una volta strappò un voto prezioso all’opposizione inserendo in una Finanziaria un fondo per la produzione di un formaggio regionale. Nel gergo politico portoghese, passò alla storia come la maggioranza “del formaggio”.
Ma riuscirà Montenegro a cavarsela con i 79 deputati di Ad e magari l’aiuto di un manipolo di liberali (Iniziativa liberale è al 5 per cento), senza il sostegno del battaglione di André Ventura? Il suo Chega (partito che in Europa sta con Matteo Salvini e Marine Le Pen, in America con Donald Trump e Jair Bolsonaro) è il vero trionfatore della notte. Nel 2019 entra in Parlamento solo lui, Ventura, ma nel 2022 già prende il 7 per cento ed elegge 12 deputati. Nella prossima legislatura saranno 48, con il 18 per cento. La grande partecipazione popolare (il 66 per cento di votanti non si vedeva dal 1995) ha fatto dire a tutti che queste elezioni erano degne del cinquantenario della Rivoluzione dei garofani. E invece era in buona parte dedicata all’uomo che su quella rivoluzione democratica ha idee revisioniste. Montenegro lo ha detto in campagna elettorale e lo ha ripetuto l’altra notte: “No è no”, cioè lui un governo con Ventura non lo farà.
Ma l’alternativa sarebbe trascinarsi fino all’autunno e poi presentare una legge di Bilancio a cui un solo formaggio non basterebbe per passare. Il leader di Ad ha già chiesto agli avversari disponibilità al dialogo, però la tattica di Pedro Nuno Santos potrebbe essere proprio quella di aspettare che la destra sbandi alla prima curva. Ma se i socialisti pensano di potersi riprendere il paese in poco tempo, per ora l’unico partito che cresce esponenzialmente è Chega. Il Ps crolla sotto il peso di una magistratura che ha seminato sospetti di cui nessuno si libererà così presto, a cominciare dall’ex premier António Costa, che sogna una carriera europea. La destra liberale non cresce perché bloccata dall’estremismo alla sua destra e da un partito a sinistra che, pur con tutti i limiti, è riuscito a coniugare la crescita con i conti in regola.
Il resto della sinistra fa risultati insufficienti per aspirare al ruolo di pivot come nel 2015. Risulta stabile nel declino il Blocco di sinistra al 4,4 per cento, mentre cresce il piccolo partito europeista Livre (3,2 per cento), fondato da un loro ex eurodeputato. Continuano a perdere pezzi i comunisti (3,3 per cento), che negli ultimi due anni si sono distinti per quella specie di pacifismo che li ha portati a boicottare perfino manifestazioni banalmente simboliche, come il minuto di silenzio per l’Ucraina in Parlamento. Fatalmente avvinti a loro in un’ossidabile coalizione ci sono i Verdi, da sempre privi di carattere, tanto è vero che gli ecologisti famosi sono altrove: sono gli animalisti del Pan (che salvano l’unico seggio in via di estinzione) o i giovanissimi attivisti climatici, che l’altra sera hanno fatto l’ennesimo lancio di vernice rosso sangue sulle vetrate del quartier generale di Ad. Prima di essere allontanati in un cellulare della polizia, hanno proclamato moniti millenaristici dinanzi a un gruppetto di fotoreporter finalmente ringalluzziti dopo lunghe ore di una conta dei voti estenuante e poco fotogenica. Prova che la democrazia, purtroppo, risulta pericolosamente noiosa a tanti.
Cosa c'è in gioco