Europa Ore 7

La conferma di Ursula von der Leyen non è così scontata. Lo scetticismo di Renzi e Macron

David Carretta

All'improvviso una vera campagna elettorale nell'Ue. Nel Ppe l'assalto contro la presidente uscente dell'esecutivo sta arrivando soprattutto da Renew

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Il Congresso di Bucarest del Partito popolare europeo doveva aprire la strada a una facile conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione. Invece, tra franchi tiratori interni e critici esterni alla famiglia popolare, la prospettiva di vedere una “Commissione Ursula 2.0” appare più lontana che mai. L'assalto contro la presidente uscente dell'esecutivo sta arrivando soprattutto da Renew, la piattaforma che riunisce i partiti di area liberale dell'Ue.

Il francese Thierry Breton, il tedesco Christian Lindner e l'italiano Matteo Renzi hanno tutti attaccato von der Leyen. Anche dentro il Partito socialista europeo sta crescendo l'irritazione per la svolta a destra imboccata da von der Leyen per consolidare la sua base dentro il Ppe e corteggiare quelli che considera i “sovranisti pragmatici” (come il partito di Giorgia Meloni Fratelli d'Italia). I risultati di Bucarest rivelano le divergenze interne a un Ppe che vuole fare campagna per la candidata von der Leyen schierandosi contro la presidente von der Leyen, senza essere convinto che von der Leyen sia il meglio per l'Ue.

Ciò che è accaduto a Bucarest è rivelatore delle esitazioni interne al Ppe. Su 737 delegati che avevano diritto di voto, solo 400 hanno votato a favore di von der Leyen. Quasi la metà (il 46 per cento) ha messo la croce sul “no” alla riconferma, si è astenuto o ha deciso di non votare. Guardando al prossimo Parlamento europeo, anche solo un quinto di franchi tiratori nel gruppo del Ppe sarebbe una condanna a morte per una presidente della Commissione che nel 2019 era stata confermata per appena nove voti grazie ai deputati del M5s. Thierry Breton, commissario francese al Mercato interno, che ha diverse ragioni personali per avercela con von der Leyen, ne ha subito approfittato con un post su X assassino. "Malgrado le sue qualità, Ursula von der Leyen messa in minoranza dal suo stesso partito", ha scritto Breton: “Il Ppe non sembra credere nella sua candidata”.

Quella di Breton è una dichiarazione di guerra. Le cannonate contro von der Leyen da parte di altri leader di Renew si sono moltiplicate. “Ursula von der Leyen a mio giudizio non deve essere confermata alla guida dell'Ue”, ha detto ieri Matteo Renzi. “Se sarò eletto al Parlamento europeo chiederò di votare contro Ursula von der Leyen, chiedendo al Ppe o a chi avrà la maggioranza di individuare una leader e non una follower”. Prima di Renzi era stato il leader dei liberali tedeschi della Fdp, Christian Lindner, a dire chiaramente che farà campagna contro von der Leyen. “Come presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen è a favore della burocrazia, del paternalismo e dei divieti tecnologici”, ha detto Lindner: “L’Europa ha bisogno di meno von der Leyen e di più libertà”.

Il Partito socialista europeo è più timido. Due dei suoi capi di stato e di governo, Olaf Scholz e Pedro Sánchez, hanno detto di volere la conferma di von der Leyen, nonostante il Pse abbia un suo candidato (il quasi sconosciuto Nicolas Schmit). Quello che pensano molti socialisti lo ha detto in pubblico l'Alto rappresentante, Josep Borrell, in un'intervista al Pais. "È legittimo che Ursula von der Leyen voglia un secondo mandato, ma non deve pretendere di prendersi il merito personale di tutti i successi”, ha spiegato Borrell. “Dovrebbe stare più attenta alla neutralità quando è sia presidente sia candidata. Dovrebbe impegnarsi a garantire che il suo partito, il Ppe, non cada nella tentazione di allearsi con gli estremisti, abbandonando così le sue alleanze tradizionali". Alla fine anche la presidente del gruppo socialista, Iratxe Garcia Perez, la scorsa settimana ha usato toni più duri (ma non troppo). Il sostegno alla riconferma di von der Leyen “non è scontato”.

Per Breton “la vera questione” è se sia “possibile (ri)affidare la gestione dell'Europa al Ppe per altri 5 anni, cioè 25 anni di fila?". Effettivamente il Ppe si presenta come partito di opposizione su temi come il Green deal e l'agricoltura. Sui richiedenti asilo propone il “modello Ruanda” del Regno Unito dopo aver imposto un nuovo Patto su migrazione e asilo che istituzionalizza l'Europa fortezza. Von der Leyen ha accettato un programma spostato molto a destra per recuperare gli scontenti del Green deal e sperare di recuperare il voto di alcuni sovranisti,  a partire da quelli di Meloni. Ma così sta alienando le altre basi della “maggioranza Ursula”, i socialisti e i liberali. Inoltre, perde la possibilità di ottenere la fiducia dei verdi, che hanno espresso la loro volontà di entrare in maggioranza per salvare il Green deal.

Prima del Parlamento europeo c'è il Consiglio europeo. Anche lì la situazione è meno rosea per Ursula 2.0 di quanto lo fosse un paio di settimane fa. Von der Leyen sta spingendo la narrazione del “non c'è alternativa” a un suo secondo mandato. La presidente uscente si presenta come “un paio di mani sicure” per guidare l'Ue nei prossimi cinque anni, ci ha spiegato un diplomatico. La sua campagna transazionale ha avuto un certo successo, con tutti i favori fatti ai capi di stato e di governo nei settori più diversi (dagli aiuti finanziari agli accordi migratori). Ma da qualche tempo a questa parte, Michel non è più solo dentro il Consiglio europeo a criticare von der Leyen per le sue derive. L'assegno in bianco a Israele a Gaza dopo il 7 ottobre ha alienato un primo ministro del Ppe, l'irlandese Leo Varadkar. La decisione di sospendere gli aiuti all'Unrwa ha irritato un suo grande elettore socialista, lo spagnolo Sánchez.

Altri capi di stato e di governo del Ppe, dietro le quinte, aspirano a prendere il posto di von der Leyen. Uno di loro è il presidente rumeno, Klaus Iohannis, che si è candidato come segretario generale della Nato, sparigliando i giochi delle nomine. Dentro il Ppe alcuni considerano che il premier croato, Andrej Plenković, sarebbe “un grande presidente della Commissione”. Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, “può essere un jolly in caso di stallo”, ci ha detto una fonte. I nomi di due donne vicine al Ppe sono iniziati a circolare, anche se improbabili: la presidente della Bce, la francese Christine Lagarde, e la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, la bulgara Kristalina Georgieva.
 

Il leader decisivo per la riconferma è Emmanuel Macron. Il presidente francese aveva concluso un patto con von der Leyen a metà febbraio, che prevede il suo sostegno in cambio di una priorità per la prossima legislatura: l'Europa della difesa affidata a un francese. Von der Leyen ha accettato il patto, salvo subito rinnegare alcuni degli impegni. Prima ha offerto il commissario alla Difesa ai paesi dell'est. Poi ha svuotato la strategia per l'industria della difesa perché non piace alla Germania, Infine si è espressa contro il debito comune per un fondo da 100 miliardi. Macron è “furioso”, dice una fonte a conoscenza di quello che pensa l'Eliseo. E furioso è Breton che vede von der Leyen appropriarsi dei suoi successi senza mai citarlo. Il suo post assassino rivela i profondi dissidi interni alla Commissione sulla leadership centralizzata e opportunista di von der Leyen. Come spieghiamo sul Foglio, una campagna elettorale che si annunciava scontata all'improvviso appare più interessante.

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