Il mezzogiorno di fuoco contro Vladimir Putin

Micol Flammini

La Russia vota e il risultato si sa, ma l'opposizione chiede ai russi di andare ai seggi il 17 marzo alle 12: sarà un appuntamento per contarsi. Nessuna illusione, solo un piano per mostrare le fratture e per dimostrare che le file al funerale di Navalny non erano un'eccezione

Non si sta a casa   a mezzogiorno,  l’importante è uscire  in massa, perché andare ai seggi  il 17 marzo sarà un segno distintivo, vorrà dire che si è lì perché si appartiene a quella Russia che vuole vedersi senza Vladimir Putin. Non sarà un appuntamento di illusi, nessuno crede in un colpo di scena: Putin vincerà, ha cambiato la Costituzione per  rimanere, ma questo non vuol dire che nel giorno elettorale i russi siano disposti a regalargli un trionfo. Gli oppositori temibili non sono ammessi da alcuni anni e la strategia elettorale di Alexei Navalny era chiara: votate chiunque non sia Putin. Ora non è cambiata, ma uscire di casa  insieme, ritrovarsi ai seggi servirà a contarsi, vedersi, riconoscersi. Poi ciascuno sceglierà se votare uno dei nomi sulla lista, se lasciare la scheda bianca, o se scriverci sopra “Navalny”, come ha suggerito di fare dalla prigione Vladimir Kara-Murza. 
Il capo del Cremlino punta sull’incoronazione, su una percentuale vicina, se non oltre, l’80 per cento.
La ruspa della repressione non è disposta a vedere più neanche un oppositore, non vuole sentire una voce di dissenso e un appuntamento in massa ai seggi può essere un graffio, anche se non tutti condividono: è una caratteristica dell’opposizione russa quella di essere molto litigiosa e piena di sfumature. Ma in Russia non sono più ammesse sfumature, è già tardi, e su questo sono compatti tutti i dissidenti e gli oppositori. Le elezioni vengono chiamate “operazione elettorale speciale”, ironizzando sul nome con cui il Cremlino continua a chiamare la guerra contro l’Ucraina, definita operazione militare speciale, salvo dei lapsus. Ma non è soltanto ironia, nel parlare di “operazione elettorale speciale” i russi riconoscono che il voto del 17 marzo è una sfida di Putin contro l’opposizione e contro i suoi elettori, è una guerra dalla quale, dopo la morte di Navalny, vuole uscire vincitore, incoronato, legittimato. L’opposizione è sicura che ogni giorno debba essere dedicato a far cadere il regime russo e adesso chiede ai russi costanza e determinazione. Lo hanno già fatto il giorno del funerale di Alexei Navalny, quando si sono messi in fila per giorni per salutare l’oppositore, sapevano a cosa andavano incontro e quella fila coraggiosa non era prevedibile.

 

E’ stato Maxim Reznik a dire a tutti: vediamoci a mezzogiorno. E’ un ex deputato, è di San Pietroburgo e crede che per il Cremlino queste elezioni siano importanti per dimostrare l’unità che c’è attorno a Putin. La missione dell’opposizione è dimostrare invece la frammentarietà. Reznik ha detto a Meduza: “Sono stanco di discutere su come combattere il fascismo di Putin, è ora di combattere, altro che discutere”. Il Cremlino vuole i titoli, vuole gli occhi addosso, vuole una percentuale tale da rendere inevitabile l’equazione “Putin è la Russia”. Quindi, dice Reznik, è la Russia che deve dimostrare di essere altro, è la Russia che a mezzogiorno deve prendersi i titoli. “Dobbiamo avere una visione lucida della situazione, non possiamo cambiarla ora, ma dobbiamo combattere”, ha detto Reznik. 
Il 17 marzo, sarà come la battaglia di Borodino, e non c’è figura storica che i russi abbiano mai temuto più di Napoleone. Borodino il 7 settembre 1812 divenne il momento di svolta, fu una sconfitta per i russi, ma da quel momento iniziò a cambiare la situazione. Così Reznik   immagina le elezioni e l’appuntamento a mezzogiorno: “Sì, Napoleone vincerà, ma qualcosa cambierà”. Per Reznik la necessità di mostrare una Russia mobilitata, pronta, in fila a mezzogiorno, serve anche a mostrare all’esterno il volto di un paese che può diventare affidabile: “La questione non sarà quanto sia popolare Putin, ma quanto sia impopolare”. E’ un piano per farsi vedere vivi, nessuno pensa di vincere. Reznik ha messo in conto pure il fallimento: “Anche se nessuno verrà, sarà un segnale, non vivremo nell’illusione”. 


I segnali vanno messi in fila, non ci sarebbero state le file per firmare per la candidatura di Boris Nadezhdin, l’aspirante candidato senza speranze che ha generato un’insolita curiosità, se non ci fosse stata voglia di cambiamento. Non ci sarebbe stata la partecipazione al funerale di Navalny, se non ci fossero stati dolore o rabbia. Reznik scommette che la Russia si stia svegliando: il 17 marzo nessuno si aspetta un risultato diverso, ma sarà importante aspettare mezzogiorno. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)