Il dibattito
Non è da populisti ribellarsi contro il piano dell'Europa per le case green
La maggiore flessibilità del provvedimento approvato dal Parlamento europeo rispetto alla versione precedente è evidente, ma i conti non tornano: per raggiungere gli obiettivi del 2030 l'Italia dovrebbe investire all'incirca 80 miliardi all’anno
In Europa non spira un buon vento per il Green deal. Anzi è diventato la leva principale del malcontento che alimenta i partiti anti europeisti, la destra e populismi vari. Anche le contestazioni alla candidatura di Ursula von der Leyen fra i Popolari europei hanno avuto questa motivazione.
Le prossime elezioni europee ruoteranno in buona parte intorno a questo punto: quanto deve essere profonda e veloce la transizione green, quanto costa e costerà e quanto devono essere protetti i settori produttivi europei. Perché per il momento l’obiettivo di usare il green deal per qualificare e modernizzare l’industria europea non solo non si è tradotto in alcuna eccellenza tecnologica, ma in alcuni settori ha completamente spalancato le porte alla concorrenza cinese. Pannelli fotovoltaici e batterie per auto elettriche e stoccaggi prima di tutto. Ma anche all’auto elettrica.
Da alcuni mesi, soprattutto i Popolari europei stanno cercando di rallentare l’implementazione dei vari pacchetti del Green deal e Ursula von der Leyen ha dovuto fare retromarcia su varie question, a cominciare dalle contestate misure in agricoltura per tacitare gli agricoltori europei. Ma rovesciare un’impostazione che Frans Timmermans, commissario alla Transizione oggi tornato in Olanda, aveva impresso per quattro anni a tutti i dossier è piuttosto difficile. Soprattutto quando i provvedimenti hanno un carattere generale e non riguardano specificatamente questa o quella categoria sociale. Nessuno insomma si sente direttamente toccato sul vivo. È il caso per esempio del provvedimento approvato dal Parlamento europeo relativo all’efficientamento degli edifici responsabili per più del 40 per cento delle emissioni totali di CO2. Il rallentamento rispetto alla precedente versione è evidente. Si è introdotta una certa flessibilità, sono state escluse alcune categorie di immobili come gli edifici storici si è cercato di stabilire obbiettivi di massima, ma obbligatori, lasciando agli stati membri il compito di determinare mezzi e modi per raggiungerli.
Tuttavia i conti non tornano lo stesso. Lasciamo pur stare il 2050, quando tutti gli edifici dovranno essere a emissioni zero, il che implica che scompaiano completamente i riscaldamenti a gas o a gasolio, per non parlare del carbone, ma che anche tutta l’elettricità usata nelle abitazioni sia di origine rinnovabile, Vabbè, chissà che succederà da qui al 2050. Restiamo al 2030, fra cinque anni scarsi, quando è previsto che il nostro paese riduca del 16 per cento i suoi consumi energetici negli edifici. Fanno circa 75 TWh termici da comparare con i 12/13 TWh di risparmio ottenuti secondo i calcoli Enea grazie al Superbonus 110. Il che vorrebbe dire investire in meno di 7 anni una cifra pari ad almeno 5 volte le cifre investite nel 110. Anche migliorando l‘efficienza della spesa rispetto agli sprechi del 110, stiamo parlando di una cifra monstre: all’incirca malcontatati 80/90 miliardi all’anno. Partendo ora senza considerare il tempo che ci vorrà, mesi e mesi, per decidere come implementare questo vasto programma in Italia. E chi pagherà? Possiamo permetterci di mettere a carico dello stato anche queste cifre? O toccherà ai privati sobbarcarsi l’onere?
Rimangono poi un paio di misteri. Prima il governo italiano dà il via libera in Commissione e poi i partiti che lo compongono votano tutti contro in Parlamento. Il voto delle opposizioni è stato invece favorevole, mentre i Popolari europei per la seconda volta si sono spaccati su un provvedimento relativo al Green deal dopo quello sulla rinaturalizzazione delle aree agricole. Il secondo mistero è invece perché in Europa nessuno disponga di una calcolatrice, non c’è bisogno dell’intelligenza artificiale, per fare due conti e capire che continuare ad alzare l’asticella con obiettivi sempre meno raggiungibili è solo un piacere fatto a chi vuole smontare tutto. Sarebbe da dire che i peggiori nemici del Green deal sono i suoi presunti amici.
I conservatori inglesi