gettyimages

nel regno unito

Tutto l'impegno di Londra perché Telegraph e Spectator non finiscano agli emiratini

Cristina Marconi

Un giornale britannico non può essere controllato da un governo straniero. Messo alle spalle da un'iniziativa bipartisan, ora Rishi Sunak cerca di bloccare l'acquisto dei due storici giornali da parte di Abu Dhabi

Un conto sono le squadre di calcio, un altro i fiori all’occhiello della stampa nazionale: un giornale britannico non può essere controllato da un governo straniero, tanto più se il paese in questione è Abu Dhabi, tradizione illiberale e trascorsi fragilini in materia di libertà di stampa, e il giornale è il Telegraph, che insieme al settimanale Spectator è al centro della vita politica del partito di governo, i Tory. E quindi l’operazione da 600 milioni di sterline montata dall’ex Cnn Jeff Zucker per rilevare sia il quotidiano sia il glorioso settimanale Spectator si è andata a scontrare contro un raro momento di decisionismo di Rishi Sunak, che, messo con le spalle al muro da un’iniziativa bipartisan alla Camera dei Lords, è stato costretto ad annunciare un emendamento al Decreto sui mercati digitali e la concorrenza in discussione la settimana prossima in cui si dà all’Antitrust il compito di valutare se le acquisizioni possano dare a “uno stato estero o a un entità connessa con uno stato estero la proprietà, l’influenza o il controllo” su una testata giornalistica. Il governo, a quel punto, sarebbe tenuto a bloccare l’operazione. La regola non vale per radio e televisioni, anche perché di recente RedBird IMI, joint venture tra un fondo di private equity e la famiglia reale di Abu Dhabi, già proprietario del Manchester City, si è comprato il colosso televisivo britannico All3Media per 1,45 miliardi di sterline. 


L’idea di Zucker, ex presidente della Cnn costretto a dimettersi per non aver rivelato una relazione con una collega, è ambiziosa: vuole portare il glorioso brand Telegraph negli Stati Uniti e farne un’alternativa di qualità alle corazzate liberal tipo il New York Times. Consapevole degli ostacoli di tipo morale, in un’intervista al Financial Times aveva garantito di voler tutelare l’indipendenza del gruppo. “Mi sto giocando la mia reputazione e la mia eredità garantendo che non permetterò interferenze di tipo editoriale”, ha spiegato. Lo sceicco Mansour bin Zayed al Nahyan giura di voler essere un “investitore passivo”, solo che, come ha osservato il direttore dello Spectator Fraser Nelson, come si fa a fare un’inchiesta se poi si rischia di risalire al proprio editore? Lo stesso Zucker è tutt’altro che estraneo alle polemiche politiche, visto che è colui che, ai tempi dell’Nbc, diede a Donald Trump il suo palcoscenico più fenomenale, ossia il reality “The Apprentice”, salvo poi essere criticato dai repubblicani per i suoi attacchi al presidente quando era alla Cnn. Ribadendo di essere mossa solo da “ragioni economiche”, RedBird ha detto di essere “estremamente delusa” dalla decisione del governo, a cui avrebbe lavorato alacremente la sottosegretaria all’Industria Kemi Badenoch, consapevole che da Telegraph e Spectator – suo ex datore di lavoro – passano le decisioni su chi sarà il prossimo leader dei Tory. Lei ci spera molto. 


Il Daily Telegraph ha tanti vantaggi, ma ha anche 1 miliardo di sterline di debito risalente ai tempi della famiglia Barclay, proprietari dal 2004 fino al giugno scorso, quando è stato messo all’asta e rilevato dal gruppo Lloyds. Zucker potrebbe riprovarci con un’altra cordata, anche perché i suoi potenziali concorrenti non sono messi molto meglio di lui: su Rupert Murdoch o Lord Rothermere, proprietario del Daily Mail, pesa un problema di concentrazione dei media, mentre Paul Marshall, quello di GB News, ha dato voce a Reform Uk ed è quindi inviso ai Tory. Non che i britannici abbiano problemi né a fare affari con gli emirati, che tra i consulenti avevano pezzi da novanta come George Osborne, né a cedere i propri giornali a mani straniere – Murdoch ha il Times e Evgeny Lebvedev ha l’Evening Standard – ma qui si tratta di un governo, che solleva questioni di sicurezza nazionale. Anche i laburisti sono d’accordo: “Non siamo a favore del fatto che un governo straniero abbia il controllo dei media”, ha spiegato un portavoce di Keir Starmer. Insomma, tutti insieme per difendere la libertà di stampa dalle grinfie dei regimi autoritari: a Londra sanno fare affari, ma quando ci si mettono sanno fare ancora meglio la democrazia.