Benjamin Netanyahu - foto via Getty Images

Ritorno a Doha

Le proposte di Hamas sono "irragionevoli", ma Israele riapre i colloqui per far tornare gli ostaggi

Fabiana Magrì

Il premier Benjamin Netanyahu approva piani per evacuare civili palestinesi da Rafah, spiegando che l’esercito di Difesa “sta organizzando gli aspetti operativi dell’evacuazione dei civili palestinesi nella Striscia meridionale". Nel frattempo, nomina un altro capo del governo

Tel Aviv. Ci sarà un altro round di colloqui con l’obiettivo di trovare la formula per un accordo tra Israele e Hamas. La delegazione dei negoziatori dello stato ebraico ha ricevuto il via libera del gabinetto di sicurezza per andare a Doha, all’inizio della prossima settimana, nonostante il governo ritenga ancora “irragionevoli” le richieste di Hamas. Le ulteriori pressioni che il Qatar aveva giurato di esercitare su Hamas affinché ammorbidisse le sue richieste non sembrano aver ottenuto il risultato sperato da Israele, sebbene alcuni funzionari abbiano detto ai media che “ci sono spazi di manovra”. Allo stesso tempo il premier Benjamin Netanyahu ha approvato “i piani d’azione a Rafah”, spiegando che l’esercito “sta organizzando gli aspetti operativi dell’evacuazione dei civili palestinesi nella Striscia meridionale". Con l’avanzata del programma di Tsahal di stanare Hamas dall’ultima roccaforte nell’enclave, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha sottolineato l’obiettivo di raggiungere un accordo tra le controparti per scongiurare l’incursione israeliana nella città al confine con il Sinai, dove un milione e mezzo di persone sono rifugiate e premono sul valico di frontiera.
 

In tutta la Striscia continuano le operazioni per migliorare e aumentare il volume di aiuti umanitari per la popolazione civile provata dalla guerra. L’esercito israeliano ha confermato che 115 tonnellate di cibo e acqua sono state scaricate dall‘imbarcazione dell’Ong World Central Kitchen che ha attraccato ieri pomeriggio sulla costa di Gaza, dopo essere stata sottoposta a un accurato controllo di sicurezza. La vera sfida sarà la distribuzione nel nord dell’enclave, dove ieri si è verificato un nuovo episodio di scontri armati attorno alla colonna di mezzi che trasportava beni di prima necessità. Hamas ha addossato la responsabilità a Tsahal ma il portavoce militare, al termine delle indagini, ha dichiarato e diffuso prove video che si è trattato di un gruppo di “palestinesi armati” che hanno aperto il fuoco sui civili di Gaza in attesa del convoglio di aiuti. 
 

Non si è realizzata la minaccia di  Hamas di  infuocare il primo venerdì di Ramadan a Gerusalemme e in Cisgiordania. Decine di migliaia di fedeli musulmani hanno raggiunto la spianata delle moschee in Città Vecchia – il Monte del Tempio per gli ebrei – e hanno pacificamente preso parte alle preghiere, concludendo il rito senza che si verificassero incidenti o scontri con la polizia.
 

Quando giovedì sera Hamas ha avanzato una risposta alla proposta di cessate il fuoco a Gaza, sottoposta alla fazione palestinese dai mediatori di Qatar, Egitto e Stati Uniti, le famiglie degli ostaggi israeliani hanno avuto un sussulto. “Non rinviare l’intesa”, hanno implorato in una lettera destinata al gabinetto di guerra. “Per la prima volta – hanno scritto nel documento – possiamo intravedere la possibilità di riabbracciare i nostri cari, per favore concedetecelo”. I rappresentanti di circa venti famiglie hanno anche incontrato il primo ministro Netanyahu e sua moglie Sara, ricordando al premier che è sua “responsabilità e impegno garantire il rilascio di tutti gli ostaggi, sia vivi che assassinati”. Ma, secondo le indiscrezioni trapelate sui media, Hamas è fermo sulla richiesta di un cessate il fuoco permanente, sollecita la scarcerazione di 50 prigionieri per ogni donna soldato (un numero inferiore rispetto all’apertura di queste trattative ma ancora oltre il doppio, paragonato all’accordo di fine novembre) e ha rilanciato uno scambio in tre fasi, ciascuna delle quali della durata di 42 giorni.
 

Nella prima l’esercito dovrebbe ritirarsi dalla principale arteria di collegamento della Striscia, la strada Salah al Din, e dal corridoio creato a sud della City, in modo che gli sfollati possano tornare alle loro case. Nella seconda fase Hamas si aspetterebbe la conferma del cessate il fuoco definitivo e il ritiro di Israele da Gaza. Solo allora inizierebbe a rilasciare gli ostaggi israeliani – a partire da donne, bambini, anziani e malati – in cambio di mille detenuti palestinesi tra cui un centinaio di prigionieri che stanno scontando l’ergastolo nelle carceri israeliane.  Il gabinetto di guerra ieri ha anche ricevuto dal ministro della Difesa Yoav Gallant la presentazione di quattro alternative per il futuro della Striscia di Gaza, dove quella preferibile – un governo locale senza Hamas – è stata comunque definita “meno peggio” delle altre. E dove la peggiore è che la fazione islamista resti al potere. Le riflessioni del capo della Kirya sono state condivise il giorno dopo che il presidente palestinese Abu Mazen ha nominato Mohammad Mustafa – ex economista della Banca mondiale, presidente del Palestine Investment Fund e suo alleato di lunga data – a capo di quel governo tecnocratico che potenzialmente avrà il compito, nel dopoguerra a Gaza, di amministrare, oltre alla Cisgiordania, anche la Striscia. “Il cambiamento che vogliono gli Stati Uniti e i paesi della regione non è necessariamente il cambiamento che vuole il cittadino palestinese”, ha commentato Hani al Masri, un analista politico palestinese citato dal Times of Israel, che ritiene che il popolo voglia “un vero cambiamento nella politica, non un cambiamento di nomi. Vogliono le elezioni”. Così come le quattro fazioni palestinesi – Hamas, Jihad islamico, Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e Iniziativa nazionale palestinese – che si sono  opposte alla nomina di Mustafa e all’istituzione del nuovo governo.