elezione farsa

La strategia elettorale contro la solitudine del dissenso russo

Micol Flammini

In Russia va in scena lo show del seggio e l'opposizione si dà appuntamento a mezzogiorno. Non crede di poter battere il capo del Cremlino, nessuna illusione sulla legittimità del voto, ma deve mostrare di esistere. Intervista

Vladimir Putin ha votato e anziché andare al seggio ha preferito usare il voto online, per il quale la Commissione elettorale ha fatto grande pubblicità, ha cliccato, salutato, ringraziato. Lo stesso metodo hanno seguito il suo portavoce, Dmitri Peskov, e il sindaco di Mosca, Sergei Sobjanin. Il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha votato in un seggio non lontano dal fronte in cui le telecamere riprendevano un grande manifesto con la scritta: “Per la patria!”. Assieme a lui c’era Valeri Gerasimov, il capo di stato maggiore che dirige la guerra contro l’Ucraina e appare di rado, ma  ieri si è fatto riprendere con la scheda in mano. Tutto va in scena per tre giorni consecutivi, con spettacoli, concerti, lotterie, pupazzi che intrattengono i bambini e persino due sposi a un seggio in Yakutia. Tutto è sceneggiato, pensato, cantato con una regia grigiastra, lapidaria, gelida. Putin si prenderà il quinto mandato, ma non lo ha voluto sotto silenzio, l’ha costruito in un’atmosfera di festosità da luna park perché con queste elezioni vuole dimostrare di essere stato desiderato, che la Russia è una  vera democrazia e lui ne è il custode, mentre la protesta è solo fumo negli occhi. I russi contrari al Cremlino invece hanno dovuto prendere una decisione tra il rimanere a casa o trasformare il voto in una contestazione. 
 Una ragazza è andata a votare per le elezioni presidenziali e ha riempito l’urna di inchiostro, invalidando tutte le schede all'interno. A San Pietroburgo una bomba è scoppiata in un seggio. A Mosca un’altra urna ha preso fuoco: i tentativi di incendio in giro per tutto il paese sono stati almeno sei. A Praga, la capitale della Repubblica ceca,  dove si votava soltanto ieri,  si è formata una lunga fila davanti all’ambasciata russa, che si trova tra via Boris Nemcov e via degli Eroi dell’Ucraina,  proprio secondo le istruzioni dell’opposizione: incontriamoci a mezzogiorno, tutti ai seggi contro Putin. Secondo  gli ucraini è una pessima idea, ritengono che la partecipazione al voto, seppur invalidando la scheda, legittimi il quinto mandato del capo del Cremlino. L’opposizione russa ha un’altra opinione: facciamoci vedere. 


Ilya Krasilshchik è un giornalista, ha lasciato la Russia poco dopo il 24 febbraio e adesso vive a Berlino dove ha fondato  Helpdesk.media, una startup editoriale  che aiuta i russi contro il regime e gli ucraini contro la guerra. “Quando è iniziata l’invasione ho capito che dovevo fare qualcosa, ho usato Instagram, ho invitato gli ucraini a condividere con me le storie, le immagini, volevo mostrare ai russi cosa stava accadendo”, racconta al Foglio. Krasilshchik è diventato giornalista giovanissimo, è stato tra i primi editori di Meduza, il principale sito indipendente di informazione in russo, poi ha lasciato, “non vedevo i risultati, gli sforzi del nostro lavoro non si trasformavano in cambiamenti, il nostro giornalismo non contribuiva a cambiare le cose in meglio. Mi sono sentito demotivato, ho lasciato Riga, dove ha sede la testata,  e sono tornato a Mosca”, per diventare il ceo di Yandex go, il più popolare dei servizi di consegna a domicilio in Russia. “Con la guerra è cambiato tutto, non potevo più restare e non potevo non fare nulla. Chiedevo agli ucraini di raccontare e le loro  storie,  sono diventate sempre più dolorose. Prima i bombardamenti, poi Bucha, poi Mariupol. Il mio progetto personale si è allargato, abbiamo creato una piattaforma, volevo rendere possibili delle connessioni:  i russi non capiscono la portata della tragedia in Ucraina e gli ucraini non vedono la vita sotto il regime”. Non sempre è facile, non lo è stato per esempio quando è morto Alexei Navalny e Helpdesk ha perso alcuni sostenitori tra gli ucraini, rimasti gelidi e contrari al cordoglio per l’oppositore morto in carcere. “Per l’opposizione russa è stato un choc, per me è stato anche personale. Gli ucraini spesso non condividono e so che ci sono domande alle quali ancora non sappiamo rispondere”. Ilya le conta, con rammarico: “Ci chiedono: perché non donate soldi all’esercito ucraino? – il suo progetto si occupa anche di raccogliere denaro da mandare a Kyiv per fini umanitari – Perché non tornate in patria? Perché votate? Perché non combattete contro il vostro il regime? Noi ora sappiamo di non poter battere Putin, ma dobbiamo fare qualcosa, non possiamo stare immobili”. Quindi rimanere a casa durante il voto, è escluso: “E’ quello che vuole il Cremlino. Dobbiamo invece farci vedere, mostrare quante persone ci sono, contarci e l’occasione di presentarci tutti ai seggi a mezzogiorno è importante, perché la polizia non potrà fermarci come farebbe in altri contesti: stiamo andando a votare! Non c’è una strategia per vincere queste elezioni e le nostre scelte sono piene di pessime opzioni, ma non esiste un piano sicuro per buttare giù un dittatore, a meno che non sia un film. E il nostro non è un film”. Nessuno, tra coloro che andranno ai seggi per protestare, crede che questo voto sia legittimo, ma crede nella forza della dimostrazione: “Ora l’opposizione deve mostrare che ci sono persone contrarie al regime. Il Cremlino vuole far credere che questa sia una guerra russa e che chiunque è contrario è solo. Chi non la pensa come Putin  viene convinto di essere isolato, quindi si rinchiude, si mette da parte per stare al sicuro. Farti stare a casa, farti sentire diverso, sbagliato, solo è quello che vuole Putin. E con questo sentimento impari a conviverci, ti convinci che il torno sia tuo”. Incontrarsi a mezzogiorno è un appuntamento contro la solitudine del dissenso. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)