In Russia

A Mosca c'è stato un attentato in una sala concerti

Micol Flammini

Un commando armato e organizzato è entrato nella Crocus City Hall, aprendo il fuoco e provocando decine di morti. È un attacco terroristico e il Cremlino ha ignorato gli avvertimenti delle intelligence straniere nei giorni scorsi

 

[Articolo aggiornato alle 8 del 23 marzo]

Almeno quattro uomini armati sono entrati nella Crocus City Hall, una sala concerti in cui si sarebbero dovuti esibire i Piknik, un gruppo rock russo fondato alla fine degli anni Settanta. Tra la seconda e la terza campanella che annunciava l’inizio dello spettacolo, gli uomini hanno iniziato a sparare, si muovevano come un commando organizzato ed esperto, erano in mimetica e armati di pistole, mitragliatrici, ordigni. Gli spari iniziali hanno causato la morte di una decina persone, poi sono iniziate le fiamme che con rapidità hanno avvolto l’edificio enorme alle porte di Mosca, una sala concerti molto conosciuta e frequentata che ieri sera aveva raggiunto il 70 per cento della sua capienza di  9.500 posti. Gli spettatori sono scappati, alcuni al piano di sotto, altri verso i piani superiori e le prime immagini dell’edificio avvolto dalle fiamme, con il tetto pronto a crollare, mostravano persone disperate che chiedevano aiuto.

Dopo un’ora il numero dei morti era arrivato a quaranta e quello dei feriti era salito a più di cento, le ambulanze sono arrivate da tutta la regione di Mosca. All'indomani dell'attentato, il bilancio ancora provvisorio fornito dai servizi di sicurezza interni russi, Fsb, è salito a oltre 60 morti e 145 feriti, tra cui alcuni bambini. La Russia ha parlato subito di attacco terroristico e qualche ora dopo l'Isis ha rivendicato l'attacco. Miliziani dello Stato islamico, si legge in un messaggio sul canale Telegram del gruppo jihadista, "hanno attaccato un grande raduno (...) alla periferia di Mosca" e poi si sono "ritirati sani e salvi nelle loro basi". L’espressione "terrorismo" ha rimandato ai giorni scorsi, quando l’ambasciata americana a Mosca aveva avvisato di evitare luoghi affollati per la possibilità di attentati nelle “prossime quarantotto ore”. Vladimir Putin aveva definito l’allarme “un ricatto” per “intimidire la nostra società”. 


L’allerta americana era arrivata  ore dopo che i servizi di sicurezza russi avevano dichiarato di aver sventato una sparatoria contro una sinagoga pianificata dal braccio afghano dello Stato islamico, l’Isis K. Gli agenti della Rosgvardia hanno fatto irruzione al Crocus per fermare i terroristi, mentre chi era all’esterno continuava a sentire gli spari e le urla di chi tentava di mettersi in salvo tra le fiamme e il fumo. Dal momento dell’attacco terroristico, vari edifici in giro per la Russia sono stati evacuati, ma la televisione russa non ha cambiato i suoi programmi: soltanto il primo canale ha dato l’annuncio della tragedia al Crocus in un paese in cui gli attentati nei teatri rievocano momenti dolorosi della storia recente, come i centotrenta civili morti durante l’assedio del teatro Dubrovka di Mosca nel 2002, che durò giorni e venne risolto nel peggiore dei modi dalle Forze speciali. 
 
Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov molte ore prima dell’attacco al Crocus ha detto che Russia si è ritrovata in uno “stato di guerra”. L’intervista è stata rilasciata ad Argumenty i fakty, un settimanale vicinissimo al Cremlino in cui articoli e dialoghi con i funzionari a volte hanno il peso di manifesti programmatici. L’intervento di Peskov è stato interessante per il tempismo e le parole, anzi per la parola: guerra. “E’ iniziata come un’operazione militare speciale, ma appena si è formata l’alleanza, quando l’occidente collettivo ha iniziato a partecipare al fianco dell’Ucraina, per noi è diventata una guerra”. E poi ha usato un’altra parola: mobilitazione. “Tutti dovrebbero capirlo per la loro mobilitazione interna”, ha detto Peskov. Chiamare alle armi nuovi soldati non è semplice neppure per il capo del Cremlino: quando nel settembre del 2022 annunciò il provvedimento di mobilitare altri uomini lo fece dopo mesi di pressione da parte del ministero della Difesa. E’ una mossa impopolare per tutti, anche per Putin. Ma dopo aver mostrato ai suoi cittadini che il suo consenso è quasi un plebiscito, teme meno l’impopolarità e forse una nuova mobilitazione potrebbe servire a far partire una nuova offensiva verso la città ucraina di Kharkiv. L’attentato di ieri però dimostra che nonostante lo “stato di guerra”, i servizi di sicurezza russi e l’esercito, quando si tratta di proteggere il loro territorio, continuano a essere carenti. Lasciano scoperte le difese aeree nelle aree di confine e i droni e i missili ucraini riescono a colpire la regione russa di Belgorod. Ignorano le informazioni di intelligence straniere che avvisano di un attentato imminente e le chiamano ricatti. Il protettore della Russia continua a indebolire il paese. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)