la scappatoia di mosca
Perché per l'Ue è difficile fermare il mercato delle sanzioni eluse in Asia centrale
Per quanto nei nuovi round di sanzioni vengano ogni volta inserite aziende o personalità delle ex repubbliche sovietiche, non c'è al momento un vero sistema sanzionatorio. Sia per ragioni economiche sia, soprattutto, per ragioni politiche
Pochi giorni dopo la morte dell’oppositore russo Alexei Navalny, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno adottato il tredicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Uno degli obiettivi di queste nuove misure contro Mosca è cercare di combattere un fenomeno che sta annacquando gli sforzi comuni: l’aggiramento delle sanzioni. Problema che vede coinvolti numerosi paesi ma che ha uno dei suoi epicentri in Asia centrale, la regione geograficamente e politicamente prossima alla Russia e le cui repubbliche non hanno aderito al regime sanzionatorio internazionale nei suoi confronti. I numeri saltano agli occhi. Per esempio, secondo quanto riportato dall’economista del Brookings Institute Robin Brooks, dal febbraio 2022 le esportazioni mensili dirette dell’Unione europea verso la Federazione russa sono diminuite di circa quattro miliardi di dollari ma, nello stesso periodo, quelle mensili verso l’area centro asiatica sono aumentate di un miliardo di dollari. Come a dire che un quarto del calo è stato compensato passando da Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan o Kirghizistan. Proprio quest’ultima repubblica ha segnato una crescita senza precedenti. Seppur sulla base di volumi di entità limitata, a fine 2023 le esportazioni tedesche verso il Kirghizistan erano aumentate del 1.200 per cento dall’inizio della guerra in Ucraina, quelle polacche del 1.800 per cento, quelle italiane dell’870 per cento e quelle spagnole del 140 per cento.
Dal canto suo, Mosca ha agito per favorire questo fenomeno. Dopo la mossa militare contro Kyiv, il numero di aziende russe registrate in Kazakistan è passato da circa 8mila a oltre 13mila. Una rete di imprese che aiuta Vladimir Putin ad aggirare le sanzioni e ad alimentare la produzione di armamenti. Un fenomeno di cui si ha consapevolezza da tempo. Lo scorso giugno un dossier del Coreper (un organo del Consiglio dell’Ue) mostrava già come per esempio la fornitura kazaka di semiconduttori alla Russia fosse solo pari a 17mila dollari nel 2021, per toccare quota 3,7 milioni di dollari nel 2022. Guardando all’Uzbekistan, altro gigante regionale, la musica rimane la stessa. Nel primo anno a seguito dell’invasione russa, il fatturato commerciale lungo la rotta Mosca-Tashkent è aumentato del 23 per cento, con le esportazioni uzbeke di auto e attrezzature elettriche addirittura salite di un valore pari a 21 volte quello precedente.
A livello politico, una volta di più le repubbliche centro asiatiche si trovano costrette a cercare un precario equilibrio. Impossibilitate per ragioni economiche, politiche e militari a rompere il proprio rapporto con la Russia, sono allo stesso tempo alla ricerca di una legittimazione internazionale che stride con l’immagine di alleati del Cremlino nell’elusione delle sanzioni. Lo scorso autunno il presidente kazako, Kassym-Jomart Tokayev, si è recato in visita ufficiale in Germania, ribadendo una volta di più che il suo governo non starebbe facilitando il sistema di importazioni parallele russe. Nella stessa occasione ha però anche sottolineato che il Kazakistan non si pone in una posizione antirussa anche perché condivide con l’ingombrante vicino settentrionale un confine di quasi 7mila chilometri. Un’altalena che riguarda anche gli Stati Uniti, da sempre particolarmente duri su questo tema: ogni volta che c’è l’occasione, da Washington arriva un chiaro monito nei confronti delle repubbliche dell’Asia centrale e del Kazakistan in particolare, di solito accolto con favore. Ma che poi viene seguito da colloqui con Mosca in cui emerge esattamente il contrario, come appena successo durante il viaggio in Russia del neonominato primo ministro kazako, servito a rafforzare la relazione economica bilaterale.
In risposta, i paesi occidentali si muovono con lentezza. Per quanto nei nuovi round di sanzioni vengano ogni volta inserite aziende o personalità riferibili all’Asia centrale, un vero sistema sanzionatorio nei confronti delle repubbliche della zona non è stato al momento applicato. Sia per ragioni economiche, nel novero degli scambi impediti finirebbero anche settori che non hanno a che fare con l’aggiramento, sia, soprattutto, per ragioni politiche. Il timore, infatti, è di far finire ancora di più la regione tra le braccia di Mosca e Pechino. Un abbraccio già ben saldo ma che a quel punto diventerebbe probabilmente definitivo e inevitabile.
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