L'attentato a Mosca è una tragedia vera che Putin sta trasformando in farsa

Micol Flammini

Al capo del Cremlino interessa la messa in scena, tutta la sua politica è organizzata come un copione. Così, quando in Russia accade qualcosa di terribile, c'è chi è pronto a mettere in discussione la sua veridicità. Gli attentati del passato, la morte di Prigozhin, fino al Crocus

La Crocus Concert Hall, la sala concerti alla periferia di Mosca, a Krasnogorsk,  è ormai uno scheletro. Il ricordo delle serate dei concerti – al Crocus  si sono esibiti anche Albano e Romina – e del clamore dei concorsi di bellezza – nel 2013 l’auditorium ospitò un’edizione di  Miss Universo facilitata dalla collaborazione tra Donald Trump e il proprietario della struttura, l’azero Aras Agalarov  – non verrà più legato alla sua storia. Le note e i battimani  sono sostituiti per sempre dalle fiamme dell’attentato di venerdì 22 marzo. I morti sabato mattina erano ovunque, perché ovunque, in ogni stanza, sottoscala, bagno, guardaroba, le persone avevano cercato rifugio dal commando di terroristi armati oltre i denti, entrati per uccidere, sfinire, e poi scappare. Mentre l’auditorium scompariva tra le fiamme, collassava su sé stesso imprigionando chi era arrivato per un concerto ed era diventato vittima di un attentato, si faceva la lista degli attacchi che la Russia ha subìto dal 1999.  Bombe nei palazzi, bombe nella stazione della metro, bombe negli aeroporti, e ancora: scuole e teatri assediati, ostaggi, assalti, trattative condotte male e finite in tragedia. 

  

 

Su alcuni di questi episodi i giornalisti russi con ex agenti dei servizi di sicurezza condussero inchieste dettagliate che portavano in una direzione: le esplosioni erano state organizzate dalle autorità. Le indagini si concentravano su alcuni attentati, non su tutti,  ma hanno lasciato sul regime di Vladimir Putin il sospetto che qualsiasi cosa  accada in Russia sia in realtà frutto di una messa in scena, pensata per legittimare guerra, violenze, repressione, controllo e ovviamente consenso. Prima che l’attentato di venerdì venisse rivendicato dallo Stato islamico con un messaggio che con chiarezza definiva  l’attacco un episodio della guerra contro chi minaccia l’islam, già si affollavano  voci pronte a tirare fuori dettagli su dettagli in grado di dimostrare  che i servizi di sicurezza russi avevano creato una farsa mortale. E invece no: la Russia è stata colpita da un attentato vero  che ha assunto le dimensioni di una catastrofe. 

  
Tutto sembra posticcio nella Russia di Vladimir Putin, anche le elezioni lo sono state, con i loro seggi trasformati in luna park e,  ancora prima,  con la pantomima dell’annuncio della candidatura di Putin che accetta di partecipare alle elezioni su preghiera spontanea dei suoi militari davanti alle telecamere accidentalmente accese. Anche la dichiarazione di guerra contro Kyiv era stata orchestrata secondo un copione millimetrico: prima il Consiglio di sicurezza, di solito segretissimo e invece a favore di telecamere,  in cui Putin fa fare la figura dello sciocco a uno dei suoi collaboratori più preziosi, Sergei Naryshkin, capo del servizi di intelligence internazionale Svr; poi il riconoscimento delle repubbliche ucraine sedicenti separatiste di Luhansk e Donetsk; infine il discorso sull’ “operazione militare speciale” contro Kyiv. Anche la marcia di Evgeni Prigozhin che a inizio luglio dello scorso anno partì dalla città ucraina di Bakhmut verso Mosca per chiedere le dimissioni del ministro della Difesa era stata presa per un teatrino concordato dal capo dei mercenari con il  presidente russo.  Invece la cavalcata della Wagner era vera, autentica: era un ammutinamento poco convinto. Pure l’uccisione di Prigozhin, colpito ad agosto da un missile mentre viaggiava sul suo aereo privato era stata seguita dalle consuete domande: ma è morto davvero?

  
In Russia accadono cose straordinarie, tragiche, cattive, enormi, e c’è spesso la tendenza a prenderle per una farsa, forse perché sembra tutto eccessivo o perché è il Cremlino che ha trasformato il paese in un palcoscenico per il putinismo. Ma dietro alla cornice di posticcio ci sono avvenimenti nefasti, uccisioni, avvelenamenti, guerre, attentati e carceri con nomi leggendari – come quella in cui era recluso Alexei Navalny, Lupo polare –  in cui si muore all’improvviso. Putin ha ridotto la Russia a sceneggiata micidiale e da fuori tutto quello che succede viene letto come un romanzo. Invece dentro alla cornice della farsa le cose terribili accadono seriamente. 

  
L’attentato di venerdì era reale, sono morte in modo atroce più di un centinaio di persone, perché il jihad dello Stato islamico non è mai finito, ha giurato di colpire Mosca e detesta  la Russia per le bombe in Siria, le guerre in Cecenia, l’invasione sovietica dell’Afghanistan; non fa distinzione tra la Russia e gli Stati Uniti, tra l’Ucraina o l’Iran, tra la Cina o Israele: agli occhi dei jihadisti sono tutti nemici da annientare. Quando Putin ha parlato alla nazione diciannove ore dopo, non si è soffermato su ciò che era reale, sul dolore, sul ritorno del terrorismo nella nazione, sul jihad,  ma ha riportato tutto sul palcoscenico della farsa, per allontanare quanto più possibile da lui ogni responsabilità per aver ignorato gli avvertimenti dell’intelligence americana e per creare una rabbia popolare in grado di alimentare la  sua guerra. Ha detto che i terroristi avevano contatti con Kyiv per fuggire in Ucraina: avrebbero dovuto farlo attraverso un viaggio rocambolesco tra campi minati, soldati e dispositivi di sicurezza. Gli agenti che avevano catturato i terroristi nel frattempo diffondevano immagini di interrogatori brutali, orecchie mozzate, per mostrare ai cittadini che gli attentatori stavano ricevendo quello che Putin aveva promesso nel suo discorso: “Terroristi, assassini e non umani affronteranno il destino poco invidiabile della punizione e dell'oblio”. 

  
La farsa di Putin esiste, ma sul suo palcoscenico, succedono tragedie vere.
 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)