Il report
Felicissimo e fecondo: è Israele nonostante il 7 ottobre
Israele si piazza al quinto posto nel Rapporto mondiale sulla felicità del 2024 e tra circa cent'anni sarà l’unico paese sviluppato a continuare a fare figli a sufficienza per il ricambio generazionale. Nonostante Hamas e la guerra, Israele non scomparirà
“L’idea di un Israele dell’abbondanza che, con i suoi deserti trasformati in aranceti, la sua pietra bianca orlata da un sole implacabile e clemente, la sua iperdemocrazia senza Costituzione ma viva, il suo esercito invulnerabile”. Questa idea, scrive Bernard-Henri Lévy in “Solitude d’Israël” (Fayard), è sembrata crollare il 7 ottobre. “Il rifugio diventa una trappola. Non c’è posto al mondo dove gli ebrei siano al sicuro, questo è il messaggio”.
Eppure, nonostante i cinque mesi di guerra con Hamas e il 7 ottobre, Israele si piazza al quinto posto nel Rapporto mondiale sulla felicità del 2024. Se l’Italia è al 41esimo posto, l’Iran è al centesimo posto, lo “Stato di Palestina” al 103, la Giordania al 125, l’Egitto al 127, lo Yemen al 133, il Libano al 142 e l’Afghanistan all’ultimo posto. E Israele nel 2100 sarà l’unico paese sviluppato a continuare a fare figli a sufficienza per il ricambio generazionale. Questo è quello che emerge da un altro rapporto, stavolta della rivista medica inglese Lancet, sul crollo globale della fertilità e un mondo “demograficamente diviso” fra i paesi più ricchi, che vedranno crollare drasticamente il numero delle nascite, e quelli a basso reddito, nei quali il numero dei nati raddoppierà, tanto che un bambino su due nascerà nell’Africa subsahariana.
Secondo lo studio, guidato da Stein Emil Vollset e Natalia Bhattacharjee, il tasso di fertilità si è più che dimezzato negli ultimi 70 anni. Nel 2050 più di tre quarti dei paesi del mondo (155 su 204) avranno un tasso di fertilità inferiore a 2,1 figli per donna, la soglia che permette di sostenere nel tempo le dimensioni della popolazione, e che nel 2100 aumenteranno a 198 su 204. Vale a dire che il 97 per cento dei paesi del mondo vedrà declinare la sua popolazione. Israele farà parte di quel tre per cento, come la Somalia con 2,45, il Niger con 2,24 e il Ciad con 2,15, ma con le caratteristiche dei paesi ricchi e avanzati.
Il 23 novembre scorso, l’Autorità per la popolazione e l’immigrazione ha riferito che diciottomila bambini sono nati in Israele dal 7 ottobre, molti dei quali prendono il nome dai kibbutz attaccati da Hamas quel giorno, come Beeri. Alcuni potrebbero considerare questo come uno strano annuncio da fare nel bel mezzo di una guerra, una guerra che Hamas ha iniziato uccidendo, torturando e violentando 1.200 uomini, donne e bambini israeliani, e rapendone altri 240.
Due terzi degli ebrei del mondo
In quanto democrazia minacciata dai vicini, Israele è spesso paragonata alla Corea del sud. Ma nel caso della Corea del sud, Ross Douthat in un articolo pubblicato sul New York Times, si chiede – non del tutto retoricamente – se il paese “scomparirà”. Israele non scomparirà. E alla fine del secolo, dagli attuali nove milioni, passerà a diciotto milioni. Sarà più popoloso di molti paesi europei. Non solo.
David Passig dell’Università Bar-Ilan ha previsto che, entro il 2048, centenario dello stato ebraico, due terzi della popolazione ebraica mondiale, dodici milioni, risiederà in Israele. Con buona pace dei suoi nemici. Nella sua prima visita in Israele quando era un giovane senatore, cinquant’anni fa, Joe Biden incontrò l’allora primo ministro israeliano Golda Meir. La visita ebbe luogo in un periodo di grande tensione, poco prima della guerra dello Yom Kippur, e Meir vide il senatore preoccupato. E disse a Biden di non temere: “Israele ha un’arma segreta; il popolo ebraico non ha nessun altro posto dove andare”.