L'editoriale del direttore
La tregua a Gaza non passa dalle carezze ad Hamas, ma dalla fine del suo dominio
Sarebbe bello considerare la risoluzione Onu un punto di svolta positivo del conflitto in medio oriente, ma ha ragione il premier Netanyahu: il cessate il fuoco si trasformerà in un'arma negoziale. Così cedere al terrore non è più considerato un tabù
Sarebbe bello, incoraggiante e consolatorio osservare la risoluzione votata ieri al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a favore del cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza come un punto di svolta positivo del conflitto in medio oriente, come un elemento nuovo capace di spingere le parti a trovare finalmente un’intesa utile ad avvicinare la fine del conflitto. Sarebbe bello, incoraggiante e consolatorio leggere nella scelta fatta dagli Stati Uniti, che per la prima volta dal 7 ottobre a oggi non hanno posto il veto su una risoluzione che chiede un cessate il fuoco non condizionato al rilascio degli ostaggi, un segnale di “pace”. Sarebbe bello, incoraggiante e consolatorio essere ottimisti rispetto alle conseguenze del voto alle Nazioni Unite.
Ma purtroppo è verosimile che abbia ragione il premier israeliano Bibi Netanyahu quando dice, commentando la scelta fatta dagli Stati Uniti, che la risoluzione passata al Consiglio di sicurezza dell’Onu offre a Hamas la speranza che la pressione internazionale possa aiutare i terroristi che sognano di distruggere Israele a trasformare il cessate il fuoco in un’arma negoziale utile a rafforzare la propria posizione, a indebolire quella di Israele e a considerare l’arma degli ostaggi come uno strumento utile per raggiungere l’obiettivo di sfiancare Israele, di renderlo vulnerabile e di guadagnare tempo per riorganizzare le proprie truppe contro l’esercito israeliano. Sarebbe bello poter essere ottimisti e sostenere che lunedì 25 marzo verrà ricordato come un passo in avanti nel processo di pace in medio oriente. Ma la verità, purtroppo, è che la giornata di ieri alle Nazioni Unite rischia di essere ricordata per una ragione diversa: la prima carezza della comunità internazionale non al popolo palestinese ma alla strategia di Hamas e la nuova certificazione del fatto che la comunità internazionale ha smesso di credere che l’unica strada per un cessate il fuoco permanente a Gaza sia la fine del brutale dominio di Hamas.
Il senatore democratico americano John Fetterman, uno degli ultimi democratici in giro per il mondo a sostenere la necessità di non abbassare la guardia nei confronti di Hamas, ieri ha giustamente definito “sconcertante” la scelta fatta dagli Stati Uniti di consentire l’approvazione di una risoluzione che, come nella migliore tradizione delle Nazioni Unite, non condanna apertamente un gruppo di terroristi e di stupratori di nome Hamas e ha ricordato che l’occidente libero e democratico non può permettersi anche nei momenti più difficili di stare dalla parte di Israele e di non assecondare gli apologeti del terrorismo.
Il messaggio di Fetterman può apparire cinico, ingiusto e frettoloso ma contiene un tragico elemento di verità: tanto più la comunità internazionale sceglierà di non essere intransigente con i terroristi tanto più i terroristi capiranno che le strategie messe in campo contro la politica del terrore sono a tempo, rivedibili, negoziabili e in certi casi sono persino sacrificabili. Tutti sognano che la guerra a Gaza finisca al più presto. Ma trasformare la tregua a Gaza in una vittoria di Hamas, che ieri ha ovviamente esultato per il voto all’Onu, somiglia a tutto tranne che a un passo in avanti a favore della pace. Speriamo di sbagliarci.
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