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L'editoriale del direttore

Da Mosca a Hamas e all'Iran: l'occidente non può permettersi passi indietro

Claudio Cerasa

Quella dei terroristi è una rete globale. Perché potrebbero pensare che per vincere la guerra contro l’occidente basta aspettare

C’è un filo rosso che collega in modo spietato alcuni eventi sanguinari che negli ultimi anni hanno favorito il ritorno nel mondo del grande disordine globale. Quel filo rosso unisce storie apparentemente diverse l’una dall’altra che pure hanno un tratto drammatico che clamorosamente le accomuna. Chiudete gli occhi, fate mente locale e pensateci un attimo. 

Cosa hanno in comune gli attacchi terroristici del nuovo Stato islamico a un teatro di Mosca, gli attacchi terroristici del regime di Putin in Ucraina, gli attacchi terroristici che Hamas promette di ripetere in Israele, gli attacchi terroristici promossi dall’Iran in medio oriente, gli attacchi terroristici lanciati nel Mar Rosso dagli houthi? Apparentemente nulla di particolare, se non, si dirà, l’evidente efferatezza degli attentati. Ma in verità vi è qualcosa di importante che unisce queste storie e che ci permette di tornare alla scelta clamorosa fatta due giorni fa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che per la prima volta dal 7 ottobre ha votato, senza il veto degli Stati Uniti, una risoluzione che chiede un cessate il fuoco a Gaza non condizionato al rilascio degli ostaggi israeliani presi da Hamas ormai sei mesi fa.

Il filo è semplice e per essere meno perentori potremmo cavarcela con una domanda: siamo sicuri che il modo migliore per combattere il terrorismo, in giro per il mondo, sia quello di scendere a compromessi con il terrorismo e non fare tutto il necessario per neutralizzarlo? La storia recente del nuovo disordine globale, della guerra mondiale a pezzi come da famosa citazione di Papa Francesco, ci dice purtroppo che il terrorismo di solito colpisce non quando viene “provocato” dall’occidente ma quando l’occidente sceglie di fare un passo indietro nella tutela della sua sicurezza nel mondo. Il Wall Street Journal ieri ha cinicamente notato che se l’attentato che ha colpito la Russia la scorsa settimana fosse avvenuto in America, per Joe Biden sarebbe stata una doppia tragedia, non solo perché le conseguenze di un attentato sono sempre drammatiche ma anche perché l’organizzazione terroristica che ha colpito Mosca si è formata negli ultimi anni nello stesso Afghanistan da cui le truppe occidentali sono fuggite tre anni fa per provare a garantire una nuova fase di pace del mondo.

Allo stesso modo, si può dire che gli attacchi terroristici portati avanti da Putin in Ucraina (la parola terrorismo applicata a Putin non è una nostra definizione arbitraria ma è il succo di una risoluzione votata il 23 novembre del 2022 dal Parlamento europeo, quando i deputati hanno riconosciuto la Russia come stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino) non sono avvenuti perché, come sostiene Papa Francesco, la Nato ha abbaiato alle porte della Russia, ma sono avvenuti anche perché negli anni successivi alla conquista della Crimea l’occidente ha scelto di chiudere un occhio sulla deriva terroristica del regime putiniano. 

Lo stesso si potrebbe dire per l’Iran, naturalmente, e non si può dire che l’approccio morbido avuto negli ultimi anni dall’occidente contro il regime degli ayatollah abbia contribuito a sfaldare la rete terroristica alimentata da Teheran, una rete che comprende il Jihad islamico palestinese a Gaza, Hezbollah in Libano, gli houthi nello Yemen e diversi altri gruppi in Iraq e Siria. Nota con amarezza il Wall Street Journal che se Franklin D. Roosevelt si fosse lasciato paralizzare dalle preoccupazioni per le conseguenze della sua guerra per liberare l’Europa e l’Asia dai nazisti, gli Alleati avrebbero perso la Seconda guerra mondiale e molte più persone innocenti sarebbero morte. “Non c’è differenza tra la lotta di Israele contro Hamas a Gaza e la guerra della coalizione internazionale contro l’Isis a Mosul e Raqqa”, ha detto due giorni fa il ministro per gli Affari della diaspora israeliano, Amichai Chikli. È possibile che alla fine il senso politico del mancato veto degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza dell’Onu sia unicamente legato non a un deterioramento dei rapporti con Israele ma a un deterioramento dei rapporti con Netanyahu.

Ma quando si vive in un mondo in cui, contemporaneamente, vi sono la guerra di Putin contro l’Ucraina, i successi jihadisti in Africa, il Mar Rosso ancora non al riparo dagli attacchi houthi, il ritorno del terrorismo in Afghanistan, un Iran che con disinvoltura sostiene le milizie sciite fondamentaliste in giro per il mondo, non ci vuole molto a capire che di solito l’occidente che sceglie di fare un passo indietro nella difesa della sicurezza globale è un occidente che sceglie di lanciare ai signori del caos e alle forze del fanatismo un messaggio pericoloso: per vincere la guerra del terrore contro l’occidente basta solo aspettare. E quando gli orologi della democrazia iniziano a fare tic tac non c’è da essere di buon umore.

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.