medio oriente
Se Israele colpisce l'Iran non cerca di inasprire il conflitto
Per lo stato ebraico la guerra è sempre stata contro Teheran, che non combatte, ma arma e tiene aperti più fronti
Lo scorso anno, qualche settimana prima del 7 ottobre, il capo del Mossad David Barnea aveva detto durante una conferenza aperta al pubblico che soltanto nel 2023 Israele aveva sventato ventitré attacchi contro israeliani ed ebrei in giro per il mondo, e aveva rivelato che erano stati organizzati tutti e ventitré dall’Iran. Barnea aveva spiegato che il Mossad era riuscito a catturare i sicari, a sequestrare le loro armi, che erano pronte per essere usate in attentati in Europa, in Africa, in America del sud, e aveva detto di sapere che gli ordini erano stati impartiti molto in alto e aveva promesso che Israele avrebbe risposto “nel cuore di Teheran”. Barnea è l’uomo che conosce tutte le attività più segrete e più importanti del suo paese, è impegnato nella lotta contro il terrorismo e anche nei negoziati per liberare gli oltre centotrenta ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas nella Striscia di Gaza. Come tutti gli altri capi del Mossad prima di lui, Barnea presta molta attenzione all’Iran e l’attacco di lunedì a Damasco, in Siria, che ha ucciso il generale iraniano Mohammad Reza Zahedi e altri dirigenti militari, è parte della strategia israeliana contro Teheran, e non è stata pensata soltanto adesso. Dopo il 7 ottobre, quando i commando organizzati di Hamas hanno attaccato i kibbutz a ridosso di Gaza e Israele ha risposto con una campagna di bombardamenti sfinente prima di iniziare l’operazione di terra nella Striscia, anche l’Iran è entrato in guerra contro Israele. Teheran ha però evitato una campagna totale, preferendo delle azioni costanti ma attraverso i gruppi che arma da anni.
“Questa guerra non è mai stata tra Israele e Hamas, ma sempre tra l’Iran e il mondo occidentale”, ha detto al Foglio Sarit Zehavi, fondatrice dell’Alma Center, un’organizzazione che si occupa delle minacce alla sicurezza del confine settentrionale dello stato ebraico. Il giorno dopo l’attacco di Hamas, Hezbollah ha aperto un fronte a nord, gli houthi lo hanno aperto nel Mar Rosso e le basi americane sono state prese di mira in Iraq e in Siria: a tenere legate tutte queste forze è l’Iran. Secondo l’intelligence israeliana, mentre Teheran evita una guerra diretta contro Israele, continua a pianificare attentati, ad armare i suoi alleati, a logorare lo stato ebraico che non si era mai trovato a combattere su così tanti fronti nello stesso momento per un periodo così prolungato. Per Israele è il momento di dimostrare le responsabilità dell’Iran, dopo l’attacco a Damasco non è cambiato granché, se non la volontà di risolvere il problema che si fa ogni giorno più pressante. Zehavi vive lungo il confine settentrionale, dove l’esercito israeliano combatte contro Hezbollah e dove sono stati evacuati i villaggi a ridosso della frontiera, oltre la quale non dovrebbero esserci gruppi armati, secondo la risoluzione 1701 dell’Onu, e invece ci sono le unità radwan che secondo i piani di Hezbollah sono state create per attaccare dentro al territorio israeliano e sono un prodotto della cura militare del generale Zahedi. Ogni settimana, i gruppi armati dall’Iran compiono circa cinquanta attacchi e finora non hanno dimostrato di voler risolvere la situazione con le vie diplomatiche. I bombardamenti come quello di lunedì – non è la prima volta che viene colpito un generale iraniano in Siria ma è inedito che sia accaduto sul terreno dell’ambasciata iraniana – non sono il segnale della volontà di Israele di inasprire il conflitto, piuttosto, dice Sarit Zehavi, in questi casi bisogna “domandarsi cosa è riuscito a prevenire lo stato ebraico colpendo una riunione di generali iraniani? Attacchi? Un’invasione? Qualche azione che avrebbe davvero potuto portare a un conflitto più duro?”.
Gli Stati Uniti hanno fatto sapere all’Iran che non erano a conoscenza delle intenzioni di Israele, qualche mese fa sono riusciti a fermare gli attacchi dei gruppi armati da Teheran contro le loro basi in medio oriente e non vogliono che ricomincino. Israele non aveva informato Washington dell’attacco, Washington non ha criticato Israele, ma la risposta all’Iran è stata percepita come un segno di debolezza “e la debolezza in medio oriente non è una qualità”, dice Zehavi. La fine della guerra a Gaza passa anche attraverso la pressione sull’Iran. Ieri i negoziatori israeliani hanno lasciato il Cairo in attesa di una risposta di Hamas sull’ultima proposta di accordo. La situazione nella Striscia è grave: ieri l’esercito israeliano ha ucciso sette operatori umanitari dell’organizzazione World Central Kitchen, probabilmente lanciando tre missili in rapida successione contro tre veicoli. Erano a Gaza per scaricare il cibo trasportato via mare.
Micol Flammini