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Sfide del futuro Nato. La Guerra fredda, la deterrenza e la necessità di coinvolgere l'Europa

Andrea Gilli e Mauro Gilli

La Nato celebra i suoi 75 anni. Nonostante i successi e i risultati raggiunti, alcune criticità hanno segnato il suo percorso. Oggi, in un mondo sempre più veloce, la cooperazione con l'Unione Europea sembra obbligata 

Ieri la Nato ha compiuto 75 anni: nel 1949 veniva firmato infatti il Trattato di Washington. La Nato, soprattutto negli ultimi due anni, ha dimostrato di essere ancora centrale ma per capirne la centralità e le sue sfide, è necessario guardare alle costanti e ai cambiamenti della sua storia.


Secondo il primo segretario generale, la Nato doveva “tenere l’Unione sovietica fuori, gli americani dentro e i tedeschi sotto controllo”. Da questo punto di vista, la Nato ha avuto fin troppo successo, soprattutto verso la Germania. Una delle sue principali sfide attuali consiste infatti nel permettere un trasferimento di capacità militari americane verso l’Asia senza indebolire la postura di deterrenza europea – e ciò richiede un maggiore ruolo militare europeo, Germania inclusa. La Nato ha anche dato un contributo fondamentale alla pace e alla sicurezza all’area nordatlantica (e al loro benessere). D’altronde questo obiettivo era sancito nel trattato proprio come l’apertura verso qualsiasi paese condividesse i suoi valori. Non si può capire la competizione con la Russia di oggi, se non si capisce l’apertura della Nato verso nuovi membri, e non si può capire questa politica se non si guarda ai valori dell’Alleanza. Da una parte, alla porta aperta, l’Unione sovietica rispondeva con la chiusura dei propri confini e con il Muro di Berlino. Dall’altra parte, la coerenza tra valori e politiche aveva fini non solo morali ma soprattutto strategici: un’Alleanza fondata su valori è molto più solida di una fondata su interessi, in quanto nel secondo caso è sempre possibile per un alleato trovare un accordo più conveniente all’esterno.


Per tutta la Guerra fredda, la missione principale della Nato era deterrenza e Difesa. Con la fine della Guerra fredda, la Nato ha aggiunto altre missioni: prima la gestione delle crisi e poi sicurezza cooperativa. Dal 2014, deterrenza e Difesa sono però tornate prioritarie. Dalla deterrenza massiccia by punishment (nucleare) degli anni 50, che minacciava l’uso di armi nucleari strategiche in caso di attacco all’Europa, si aggiunse immediatamente la deterrenza per interdizione (by denial), che mirava a neutralizzare una possibile avanzata avversaria. Negli anni 60, la deterrenza massiccia fu stata sostituita con la risposta flessibile che permetteva l’uso misurato di armi nucleari in caso di attacco convenzionale. Ciò garantiva maggiore difesa a minori costi, maggiore credibilità e minori i rischi di escalation, ma contribuì a favori l’uscita della Francia dal comando militare integrato Nato – la quale riteneva (non del tutto a torto) di rischiare di diventare ostaggio della competizione nucleare tra le due superpotenze. Negli anni 90, la Nato ha cercato di ottenere stabilità attraverso cooperazione e distensione, ma chiaramente questo approccio non ha funzionato del tutto. Così, dal 2014, alla deterrenza by punishment e by denial si è aggiunta la deterrenza tramite rinforzi, che consisteva del dispiegare minimi contingenti a rotazione nei Baltici e in Polonia (talmente ridotti da non poter essere visti come una minaccia) da sostenere prontamente, appunto tramite rinforzi, in caso di crisi.


I 75 anni della Nato verranno celebrati con il vertice di Washington di inizio luglio. Nonostante i successi e i risultati raggiunti, non si possono ignorare le criticità. La più lunga operazione della Nato, quella in Afghanistan, si è conclusa con un precipitoso ritiro. Oltre a non aver raggiunto gli obiettivi morali (tra gli altri, la tutela delle donne) e strategici (la stabilizzazione del paese) iniziali, l’operazione ha distolto risorse e attenzione da minacce molto più imminenti, quali quella russa e, in prospettiva, quella cinese. Discorso analogo vale per la Libia. La Nato, inoltre, funziona per consenso: i suoi Alleati decidono senza veti e opposizioni, e l’organizzazione esegue. Questo meccanismo ha garantito, nei decenni, un compromesso accettabile tra tempi e modi di risposta e sovranità degli Alleati. A differenza dell’Ue, la Nato non ha però significative risorse proprie, non può tassare, non ha competenze esclusive, e non può emettere direttive o sanzioni. In un mondo sempre più veloce, interdipendente non solo tra paesi ma anche tra ambiti differenti, a partire dalla tecnologia, la cooperazione tra Nato e Unione Europea (alla luce delle sue competenze e risorse) sembra obbligata. Oltre a richiedere il benestare dei rispettivi membri, la domanda di fondo è se due strutture burocratiche con meccanismi decisionali diversi e complessi possano davvero riuscire a cooperare.
 

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