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Il Piepergate mette nei guai la ricandidatura di Von der Leyen. Pure in Italia 

David Carretta

La nomina di Markus Pieper a inviato dell’Ue per le Piccole e medie imprese solleva polemiche non solo nell'estrema destra, ma anche tra socialisti e liberali. Un problema per la presidente della Commissione europea che spera in un secondo mandato

Bruxelles. “Ursula von der Leyen ha fatto un errore a candidarsi come Spitzenkandidat del Partito popolare europeo. Avrebbe dovuto tenersi al di sopra della mischia, dichiararsi disponibile a una conferma, ma senza diventare il capofila di un partito politico”. A parlare è un alto funzionario europeo, nel momento in cui la presidente della Commissione vede moltiplicarsi controversie e scandali, che mettono in discussione un suo secondo mandato. L’ultimo in ordine di tempo è il “PieperGate”. Come rivelato dal Foglio il 22 febbraio, Von der Leyen ha imposto la nomina del suo compagno di partito, l’europarlamentare della Cdu Markus Pieper, a inviato dell’Ue per le Piccole e Medie Imprese, malgrado il fatto che sia stato il peggiore tra i candidati pre selezionati e che il commissario responsabile, il francese Thierry Breton, avesse raccomandato un altro nome. La nomina è avvenuta pochi giorni prima della decisione della Cdu di sostenere Von der Leyen per un secondo mandato. Nella conferenza stampa a Berlino, Von der Leyen ha definito Pieper come il “commissario alle Pmi”, inventandosi un incarico non previsto dai trattati. Al di là del contratto da capogiro che permetterà a Pieper di arrivare alle pensione – quattro anni rinnovabili per altri due, con uno stipendio da 20 mila euro al mese indennità comprese – la nomina ha sollevato sospetti. Alcuni europarlamentari denunciano il “favoritismo” di Von der Leyen, che avrebbe scelto un uomo della Cdu per garantirsi il sostegno come Spitzenkandidat del Ppe. Fatto senza precedenti, quattro commissari – Josep Borrell, Thierry Breton, Paolo Gentiloni e Nicolas Schmit – hanno scritto a Von der Leyen per ridiscutere la nomina perché solleva interrogativi sulla “trasparenza e imparzialità del processo”. 

Per contestare Ursula von der Leyen il PieperGate viene cavalcato dall’estrema destra, che sta già utilizzando il PfizerGate (lo scandalo degli sms spariti legati ai negoziati con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla) come arma contundente. “Da von der Leyen mi aspetto risposte concrete ai cittadini ed europei (...), non favori agli amici nominati come inviati Ue per le Pmi”, ha detto ieri il leader della Lega, Matteo Salvini. Il guaio per Von der Leyen è che non è solo l’estrema destra anti europeista a essere scandalizzata. Alcuni gruppi della sua maggioranza – socialisti e liberali – hanno contestato pubblicamente la nomina.  La prossima settimana il Parlamento europeo dovrebbe votare un emendamento presentato dai Verdi per chiedere di “rescindere la nomina e lanciare un processo realmente trasparente e aperto per la selezione dell’inviato dell’Ue per le Pmi”. Il “no” del Ppe è scontato, dato che Pieper è membro del gruppo. Ma, se il centrosinistra e l’estrema destra voteranno insieme, Von der Leyen rischia di trovarsi in una posizione molto imbarazzante. Nel 1999 la Commissione Santer cadde perché la commissaria francese Edith Cresson rifiutò di dimettersi dopo le rivelazioni sull’assunzione del suo amico e dentista.

 

Ieri è scoppiato un altro piccolo scandalo nella bolla bruxellese. Von der Leyen ha scelto il suo capogabinetto alla Commissione, l’onnipotente Bjorn Siebert, come manager per la campagna elettorale per il Ppe. Siebert si è dovuto mettere in aspettativa fino al 10 giugno per evitare conflitti di interessi e sovrapposizioni di ruoli. Fino ad allora non potrà più discutere con i suoi interlocutori nelle capitali dentro e fuori dall’Ue. “Se Jake Sullivan (il consigliere alla sicurezza di Biden, ndr) chiama per discutere di Russia, Siebert dovrà dirottarlo su un altro funzionario”, spiega una fonte. “Dato il livello di centralizzazione della squadra von der Leyen, la macchina rischia di bloccarsi”, spiega un’altra fonte. Oltre a Siebert, Von der Leyen ha preso come portavoce per le elezioni l’austriaco Alexander Winterstein, un funzionario che appena un mese fa è stato promosso al posto di direttore nella direzione generale comunicazione della Commissione.

All’inizio dell’anno la conferma per un secondo mandato di Von der Leyen appariva una formalità. Con il PieperGate e la candidatura formale per il Ppe tutto è cambiato. Al Congresso di Bucarest del Ppe quasi metà dei delegati non ha votato per lei. Emmanuel Macron l’ha sconfessata perché non è rimasta “al di sopra dei partiti”. Giorgia Meloni, che appariva come una solida alleata, ora evoca la possibilità di presentare altri candidati. Anche i leader del suo Ppe sembrano pronti ad abbandonarla. Ieri Antonio Tajani, che è vicepresidente del Ppe, ha spiegato che ciò che conta è avere la presidenza della Commissione. “Dovrà essere un rappresentante del Ppe”. E pazienza se non sarà Ursula.