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La nostalgia di Medioevo nella Russia di Putin
Il solo modo degli intellettuali russi per immaginare il futuro è rievocare un passato di favole. Glorioso oppure oscuro
C’è molta nostalgia di Medioevo nella Russia di Putin. E anche altrove. Nella destra italiana ed europea. In Cina. Persino in America. La nostalgia è per un Medioevo di favola. Per secoli bui di eroi senza macchia e cattivi davvero cattivi, di avventure, magia, onore e spietatezza all’antica. Si tratta di un nostalgia che ha a che fare con la narrazione, col modo in cui la favola viene raccontata, diffusa. Spiega perché i russi si siano bevuti sinora la narrazione che gli è stata propinata dal Cremlino. Siano in apparenza convinti (se lo siano davvero non è possibile accertarlo) che i terroristi del Crocus fossero ucraini travestiti da musulmani, siano stati ingaggiati dai servizi ucraini, britannici e americani, che a Kyiv comandino i nazisti, che l’occidente voglia distruggere la Russia, sia la madre di tutte le perfidie, il Male assoluto.
“Il terzo impero” è il romanzo di fantapolitica di Mikhail Yuriev, già vicepresidente della Duma. Medvedev ne è appassionato
“Le forze polacco-ucraine sono state schiacciate. All’esercito russo è stato dato ordine di distruggere il massimo numero di forza combattente, edifici, e altre infrastrutture. Di conseguenza, per il 5 ottobre – la data in cui finì la guerra russo-ucraino-polacca – erano state uccise più di 600.000 persone. Oltre due terzi di queste erano civili. Le perdite russe ammontavano a 11.000. Antiche città come Varsavia, Cracovia, Kyiv, e molte altre, erano state rase al suolo; e Leopoli era stata letteralmente cancellata dalla faccia della terra”. Così si conclude il romanzo di fantapolitica Il terzo impero. La Russia come dovrebbe essere, di Mikhail Yuriev. Era stato pubblicato nel 2006. Yuriev, già vicepresidente della Duma, è uno degli idoli dell’ultradestra. C’è chi ha osservato che il romanzo potrebbe essere letto addirittura come prefigurazione del disegno strategico messo in atto da Putin. Vi vengono profetizzate con sorprendente accuratezza le tappe che hanno preceduto la guerra all’Ucraina: la guerra alla Georgia (2008), l’annessione della Crimea (2014), le incursioni nel Donetsk e nel Luhansk (2014).
Tra i lettori appassionati del romanzo di Yuriev c’è il “duro” Dmitri Medvedev, vicepresidente del consiglio di sicurezza russo, e prestanome di Putin nell’alternanza presidente-primo ministro. Molte sue dichiarazioni sembrano tratte di peso dal romanzo: l’Ucraina che “sparirà dalle mappe del mondo”; “devono sparire [i paesi] in cui ci sono solo russofobi al potere”; e così via. Nel romanzo è previsto il referendum che ha reso eterna la presidenza Putin. Tra parentesi, la ricerca dell’immortalità al potere non è affatto una prerogativa russa. Xi Jinping l’ha fatta mettere in Costituzione in Cina, Erdogan in Turchia, Orbán l’ha fatta modificare ben due volte in questa direzione, nel 2011 e nel 2022. Lo progetterebbe, secondo autorevoli osservatori, Donald Trump se a novembre fosse rieletto, ha imitatori anche in Italia. La tentazione di abbarbicarsi costituzionalmente per sempre al potere è incontenibile.
Yuriev, scomparso nel 2019, non ignora che il sostegno al suo progetto non è unanime. “Se oggi, nel 2053 [la data fittizia degli avvenimenti nel romanzo], la Costituzione russa dovesse essere sottoposta a referendum di tutti i cittadini, nemmeno un quarto l’approverebbe”. “Ma il punto è un altro: “Solo gli oprichniki possono partecipare ai referendum […]. Ragione per cui ritengo che il sistema politico russo, fondato su una società composta da fasce di censo, rimarrà assolutamente stabile nel futuro prevedibile […] Ci saranno naturalmente crisi, persino sollevazioni – ce ne sono già state di fatto – ma gli oprichniki soffocheranno le rivolte nel sangue, e lo faranno con piacere, perché per loro questa è una lotta con il Demonio. Non riesco a immaginare chi possa scuotere, per non dire scalzare, il potere dell’oprichnina, il quale, contrariamente a quel che pensano alcuni di noi, non è solo sanguinario e, per lo più, nemmeno repressivo”.
Gli oprichniki, il corpo di polizia scelto e fedelissimo, spietato, onnisciente, al servizio di Ivan il Terribile. Stalin ne era un estimatore
Oprichnina è il sistema di governo del territorio su cui lo zar esercitava potere assoluto, senza limiti tra il 1565 e il 1572, durante il regno di Ivan IV, detto il Terribile. La parola deriva dall’antico russo, “a parte”, “a eccezione”. L’eccezione si applicava a più di un terzo dell’intero regno e comprendeva i migliori terreni coltivabili, parti delle città più grandi e della stessa Mosca. Ad applicare lo stato di eccezione, cioè l’arbitrio assoluto dello zar, ci pensavano gli oprichniki, un corpo di polizia scelto e fedelissimo, spietato, onnisciente. Andavano in giro a cavallo, vestiti completamente di nero. Avevano come contrassegni una testa mozza di cane e una scopa, che appendevano alle selle dei loro cavalli. Assassinavano senza scrupoli, con i mezzi più svariati, dalla spada ai veleni, i sospetti nemici dello zar. Arrestavano e torturavano chi gli pareva. Fu durante la guerra con la Livonia che Ivan introdusse la leva obbligatoria. Ma è agli oprichniki che affidò il compito di eliminare i boiari che si opponevano alla guerra e, soprattutto, al suo potere assoluto. Venuto a sapere che tra i promotori dell’opposizione vi erano diversi boiari di Novgorod, Ivan ordinò ai suoi oprichniki di saccheggiare la città e uccidere tutti gli abitanti, senza eccezione. Il terrore lo aiutò a vincere le guerre contro l’occidente di allora. Ma al prezzo di stragi infinite, e della rovina dell’economia russa. Alla fine fu lo stesso Ivan a sopprimere l’Oprichnina. Sospettava che i capi complottassero contro di lui.
L’Oprichnina ha avuto tra gli storici russi detrattori ed estimatori, a ondate alterne. Tra gli estimatori c’era Stalin, convinto che quel terrore fosse necessario a mantenere l’unità della Russia e a difenderla dai suoi nemici interni ed esterni. L’aveva spiegato per filo e per segno a Sergej Eisenstein, convocato di notte al Cremlino per discutere del suo film Ivan il Terribile. Stalin obiettò al regista di aver erroneamente rappresentato nel suo film gli oprichniki, “quasi fossero un sorta di adepti del Ku Klux Klan”. Mentre, secondo lui, sarebbero stati una forza necessaria e progressiva. Gli oprichniki erano in effetti una fratellanza segreta e molto affiatata, orgogliosa della propria spietatezza e della propria capacità di incutere terrore, usa a menar vanto dei propri sistemi di sorveglianza, assassinii e torture, con una propria mistica del dovere e del servizio alla patria e al sovrano, somigliavano alla sua Nkvd, poi Kgb, poi Fsb, e, più in generale, ai siloviki, funzionari della sicurezza, su cui si basa il potere nella Russia di Putin.
Per un Sorokin che denuncia le analogie tra l’Oprichnina e la Russia di oggi, ci sono centinaia di corifei che sognano utopie ultratotalitarie
L’Oprichnina, da argomento di discussione tra gli storici e gli specialisti, è diventata negli ultimi decenni un tema presente in modo quasi ossessivo nel dibattito politico, nella cultura popolare, nella cinematografia, nella letteratura russa. Nei romanzi di fantapolitica non si parla quasi d’altro. La giornata di un oprichnik e gli altri romanzi di fantapolitica medievalistica di Vladimir Sorokin sono da parecchi anni bestseller in Russia e sono stati tradotti in mezzo mondo, Italia compresa. Un densissimo saggio, fresco di stampa, della professoressa dell’americana Georgia Institute of Technology, Dina Khapaeva (Putin’s Dark Ages: Political Neomedievalism and Re-Stalinization in Russia, Routledge 2023) ripercorre per filo e per segno, con incredibile dovizia di riferimenti a fonti russe, il nesso tra quello che l’autrice definisce “neomedievalismo”, la “filosofia della storia neomedievalistica di Putin” e il ritorno in auge dell’autoritarismo e del terrore di stato, di una “re-stalinizzazione”. Nonché dell’idea mistica di “eccezionalismo russo”, di una concezione del mondo che vede la Russia assediata da un occidente malevolo, impegnata in un duello mortale con nemici impuri e diabolici.
Per un Sorokin che denuncia le analogie tra l’antica Oprichnina di Ivan il Terribile e il Cremlino di Putin, ci sono centinaia di corifei del regime, alcuni più putiniani di Putin, anche critici della eccessiva “moderazione” di Putin, “vecchi fedeli” dell’Oprichnina, i quali sognano utopie di una Russia ultratotalitaria, ultraortodossa, ancor più aggressiva nei confronti dell’Ucraina e dei suoi “burattinai” occidentali. Si va da influenti associazioni politico-culturali tipo l’Izborsky Club, a personalità del tutto sconosciute al pubblico occidentale (e anche a chi scrive). Il teorico del “nazional-bolscevismo” (già il termine dice tutto), Alexandr Dugin, parla spesso della transizione diretta della Russia dalla storia moderna a un “nuovo Medioevo”, del rifacimento della tradizione verso un nuovo “romanticismo del mistero e del miracolo”, dal “risveglio al sogno”. Sostiene senza mezzi termini che “la vera libertà può essere conseguita solo in un società totalitaria”, in cui il popolo “potrà godersi la vita solo se minacciato con la scure di un boia. Esalta un “nuovo sistema di caste” fondato su gerarchia e culto degli “eroi e dei preti che governano tale società”. La casta dominante sono ovviamente gli oprichniki, o siloviki che dir si voglia. Sarebbero l’antidoto all’“occidentalizzazione”, senza di loro non ci sarebbe rimedio alla “dominazione dell’occidente”, e in particolare degli Stati Uniti che mirerebbero a “distruggere il mondo”. Ce l’ha col “nazismo” rampante. Anche se, al tempo stesso – evidentemente non la ritiene una contraddizione – non esita a richiamarsi apertamente al “fascismo”, la cui “essenza consiste nel creare una nuova gerarchia sociale, costruita su princìpi chiari, naturali, organici: onore, rispetto di sé, eroismo e mascolinità”. Già nel 2005 l’Istituto per il conservatorismo dinamico (che aveva tra i fondatori lo Yuriev citato in precedenza) aveva diffuso il manifesto per La dottrina russa, ispirato ai princìpi di una nuova “civiltà militante”, di un “supernazionalismo russo”, con l’obiettivo di fondare “un impero euroasiatico”, guidato da un’autocrazia tipo quella degli antichi zar. Maksim Kalashnikov, un altro dei fondatori dell’Istituto, aveva preconizzato il “compimento della missione di Stalin”, indicando nel ripristino dell’Oprichnina “l’unica possibilità di salvezza nazionale della Russia”. La nuova Oprichnina dovrebbe durare “almeno vent’anni” e sterminare “30 milioni” di parassiti e traditori. Tra i libri sacri del neomedievalismo c’è un vecchio romanzo utopistico del 1922, Dietro il cardo, di Piotr Krasnov, pubblicato in esilio a Berlino, ripubblicato e popolarissimo in Russia nel nuovo millennio, in cui la Russia si appresta a conquistare i Paesi baltici, la Polonia, la Bessarabia (odierna Moldavia), la Finlandia, parti della Cina e la Mongolia.
La Russia non è il solo paese in cui va di moda la nostalgia di un Medioevo immaginario. Mito della purezza, dell’eroismo individuale, della forza
E così via, di farneticazione in farneticazione, citate nel libro della Khapaeva, per 290 pagine. Il lettore ci permetterà di fermarci qui. Putin, a vero dire, non ha sponsorizzato la maggior parte di queste farneticazioni. Ma i suoi discorsi sono infarciti di riferimenti alle tesi medievalistiche, e soprattutto all’ultranazionalismo mistico di questi autori. Gli piace evidentemente l’idea di ritorni alle origini medievali, di stato autoritario. E’ un fan di Ivan il Terribile, e di Aleksandr Nevskij. Crede al destino salvifico della Russia contro le forze del Male. Così come ci crede il suo sodale, il patriarca ortodosso di tutte le Russie Kirill, che appoggia la “Guerra santa” in Ucraina. Sposa e appoggia una filosofia della storia neomedievale, incoraggia apertamente una “narrazione” diversa da quella dei riformatori che l’hanno preceduto. Persegue e incoraggia una narrazione favolistica, di fantasia della politica internazionale. Siccome controlla tutti i mezzi di comunicazione, questa è diventata la narrazione ufficiale. Ma il guaio è che spesso i dittatori si innamorano delle proprie favole, finiscono per crederci.
Intendiamoci, anche l’occidente, ha le sue favole. Che spesso hanno portato a errori fatali. Come quando non aveva preso inizialmente troppo sul serio le favole che Hitler raccontava ai tedeschi e al mondo. O come quando, nell’illusione della “fine della storia”, non aveva saputo cogliere al volo l’occasione storica rappresentata dall’affermarsi di una corrente riformista, quella di Gorbaciov, il quale proponeva una Russia democratica che facesse parte degli Stati uniti d’Europa, e invece si era affidato a Eltsin, che sembrava promettergli una Russia tanto debole da essere inoffensiva. Nella storia, a differenza che nella favole, gli errori si pagano, e a carissimo prezzo.
La Russia di Putin non è affatto il solo paese al mondo in cui va per la maggiore la nostalgia di Medioevo. Intendo le favole, non lo studio del Medioevo, che è una cosa seria. Così come sono una cosa da prendere sul serio le favole, specie se ben narrate. La Cina ha i suoi miti, le sue favole antico-imperiali. Le ha l’India di Modi. Le ha l’islam fanatico. Le ha persino l’America, dove neo-medievalista è a suo modo anche Donald Trump. Mito della purezza, dell’eroismo individuale, della forza, denigrazione del nemico maligno e satanico, fanno parte integrante della sua “narrazione”. Ricordate come erano travestiti molti dei Proud Boys che diedero l’assalto al Congresso? Umberto Eco aveva pronunciato, agli inizi degli anni 80, un intervento denso e divertente sui “Dieci modi di sognare il Medioevo”. Lui, autore di successo di fantasie medievali, avrebbe rilevato quanto molte di esse celebrino “la forza bruta” ed esprimano un “ripudio delle istituzioni democratiche”.
La passione per un Medioevo immaginario, ma non innocente, è dilagata in serie tv di successo ispirate alle favole neomedievali quali Il Signore degli anelli di Tolkien o Il trono di spade di George R. R. Martin. Ultima Il problema dei tre corpi, ispirata alla fantascienza di Liu Cixin, col suo mix di scienza e mitologia cinese. Sono, devo confessarlo, un addicted di questo tipo di serie, anche se alcune mi hanno un po’ annoiato. Così come del medioevo giapponese dei samurai. E’ noto che la nostra Giorgia Meloni è una fan di Tolkien, la sua gioventù postfascista si è formata nei Campi Hobbit. Niente di male. Tra l’altro Tolkien era antifascista e antiautoritario. Mentirei però se dicessi che non mi inquieta un po’, quando esalta miti, narrazioni, valori (onore, forza, patria, fedeltà, “normalità” di preferenze sessuali) non molto dissimili da quelli dei neomedievalisti di Putin.