Trattare ora con Putin significherebbe solo una cosa: la rivincita russa sull'89
Il rovesciamento dei rapporti di forza sarebbe spettacolare, Europa e Nato riceverebbero un colpo dal quale sarebbe difficilissimo risollevarsi. Si realizzerebbe il sogno del Cremlino sedimentato in due decenni e oltre di potere assoluto e di escalation militari
Il ministro degli Esteri di Putin, Lavrov, è stato sarcastico con Zelensky: “Lasciatelo sognare”. Il vantaggio militare sul terreno e altri fattori decisivi, tra cui la sconnessione del fronte occidentale a due anni dall’invasione, gli consentono di considerare ridicolo e irrealistico il ritorno ai confini del febbraio 2022 come obiettivo degli irredentisti di Kyiv, a corto di munizioni e di soldati. La stessa cosa pensano settori del Pentagono e della Cia, ben rappresentati dal report della Rand Corporation, vecchia agenzia di ricerca e elaborazione dei dati geopolitici, datato febbraio 2023: la guerra lunga con Putin non è nell’interesse degli Stati Uniti, dobbiamo concentrarci sull’Indo-Pacifico, cioè sulla Cina, bisogna trattare e negoziare per tempo, prima che la Russia si rafforzi ulteriormente, e accontentarci di aver salvato il salvabile e indebolito Putin. Dietro alla riluttanza del Congresso americano a fornire nuovi armamenti allo stato aggredito dalla Russia, per superare la quale Joe Biden si fa in quattro e spera in imminenti risultati, sebbene su questo non manchi lo scetticismo, c’è evidentemente altro che non la sola fatica dell’opinione pubblica e la campagna presidenziale di Trump, ci sono i dubbi di una parte dell’establishment militare e di intelligence.
Se il nucleo forte della coalizione occidentale è diviso, si spiegano meglio le uscite di Macron sui danni della mancata “ambiguità strategica” verso Putin, sulla necessità di prevedere la possibilità di un impegno diretto nella guerra, si spiega meglio il diverbio con Scholz, si spiega meglio l’attivismo difensivo allarmato dei polacchi, dei baltici e di altri paesi più direttamente esposti alle conseguenze di un eventuale tracollo ucraino o di uno scompaginamento della coalizione. Si spiega meglio anche la bandiera bianca del Papa.
Il timore di una guerra generale o di una escalation che ci esponga a quel tipo di pericolo è comprensibile, ma non si possono ignorare le conseguenze politiche di un negoziato sotto la pressione di un vincitore che pretende di fissare un nuovo status quo europeo. Un negoziato ora e su queste basi vuol dire che Putin si prende un terzo dell’Ucraina e si avvantaggia di altre condizioni oggettive, tra le quali uno Zelensky politicamente e personalmente travolto dalla disfatta, per quanto non definitiva, che era prevista all’inizio con la mancata ma perseguita presa di Kyiv (alla luce della divisione occidentale si spiega meglio anche il licenziamento di Zaluzhny, capo militare della prima fase della guerra).
Le conseguenze in un primo momento possono anche non essere quelle apocalittiche della violazione di altri confini, e questa volta anche confini Nato (incidenti nel Baltico, ai confini polacchi, la destabilizzazione dell’enclave di Kaliningrad, la stessa questione della Transnistria e della Moldavia). Restano tuttavia conseguenze drammatiche. Se Putin davvero affermasse quel potere, dislocandosi come quando e dove vuole oltre i confini dell’89, sebbene a un certo prezzo che la Russia è in grado di pagare, il rovesciamento dei rapporti di forza sarebbe spettacolare, Europa e coalizione occidentale e Nato riceverebbero un colpo dal quale sarebbe difficilissimo risollevarsi, si realizzerebbe il sogno del Cremlino sedimentato in due decenni e oltre di potere assoluto e di escalation dalla Cecenia alla Georgia alla Crimea alla Siria al Donbas e alla operazione speciale: la rivincita sull’89. “Lasciatelo sognare” è un’espressione che, in questo caso, non si può usare a cuor leggero.