il fronte interno

Chi prende le decisioni dentro al governo di Israele

Micol Flammini

Gli estremisti Ben Gvir e Smotrich minacciano ma sono sdentati. Sui negoziati e sulle scelte militari i politici che decidono sono altri e vengono premiati nei sondaggi

Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, ha scelto il nome del prossimo capo della Polizia, facendo una scommessa sulla tenuta del governo di emergenza. La selezione non è stata difficile, ha ripescato un suo estimatore che si è sbilanciato fino a promettere, secondo fonti della stampa israeliana, di esaudire ogni desiderio del ministro. La scommessa di Ben Gvir sta negli ostacoli e l’unico ostacolo alla nomina di Avshalom Peled a capo della Polizia è il veto di Benny Gantz che quando è entrato a far parte del governo di Benjamin Netanyahu per dare una risposta unitaria al 7 ottobre ha chiesto che nel contratto di coalizione gli venisse concesso il potere di bloccare  le nomine degli alti funzionari. Peled è stato comandante del distretto di Hebron e Ben Gvir lo stima perché, quando non aveva ancora il peso politico di oggi ma era soltanto un estremista di destra molto noto,  aveva imparato ad “amare la Polizia” guardandolo lavorare. A Gantz, Peled non piace per i suoi legami con l’ultradestra israeliana, per il servilismo nei confronti di Ben Gvir e perché crede che le nuove nomine debbano ispirare un clima diverso in Israele. Ben Gvir si preoccupa poco di Gantz: è convinto che tra qualche settimana lascerà il governo e quindi non potrà più avere voce in capitolo su nessuna nomina. Per quanto riguarda se stesso, il ministro Itamar Ben Gvir si tiene stretto il suo dicastero perché  sa bene che perderebbe molto del suo potere con nuove elezioni: lui e gli estremisti a cui si è legato Benjamin Netanyahu nel 2022, nel caso in cui Israele andasse a votare, perderebbero molto del loro potere.  Il premier e i suoi alleati sono aggrappati l’uno agli altri, si ricattano in continuazione ma senza convinzione perché  hanno i numeri per continuare a governare insieme, e hanno la determinazione a non incappare in nuove elezioni:  Israele oggi è molto diverso da due anni fa e l’alchimia che li ha portati a cucire insieme un governo potrebbe non ripetersi. Quindi meglio mordere, ma senza farsi troppo male. 


I sondaggi israeliani mostrano da mesi sempre lo stesso risultato: Benny Gantz e la sua coalizione Unità nazionale sarebbero i più votati e otterrebbero più di trenta seggi sui centoventi della Knesset. Il Likud di Benjamin Netanyahu arriverebbe secondo, con una ventina di seggi, seguito da Yesh Atid di Yair Lapid con quindici seggi. Anche Lapid era stato invitato a entrare nel governo di emergenza, ma il leader di centrosinistra ed ex premier aveva preferito rimanere fuori, non aveva avuto l’intuito adatto a capire che gli israeliani in quel momento – e ancora oggi – sono alla ricerca di unità e il sacrificio di Gantz, che ha accettato di aiutare il premier a cui aveva giurato una battaglia politica serrata, è stato molto apprezzato. Gantz e Lapid hanno già governato in passato con Netanyahu e sono stati traditi. Hanno governato anche tra di loro e potrebbero farlo di nuovo.


Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich hanno minacciato Netanyahu di rompere la coalizione, Smotrich ha anche inviato una lettera furiosa al premier per lamentarsi della decisione dell’esercito di ritirarsi da Khan Younis, la città del sud di Gaza in cui Tsahal ha combattuto per quattro mesi. I due, leader di Potere ebraico e Sionismo religioso, sono anche contrari ai negoziati per la liberazione degli ostaggi perché continuano a ripetere che la guerra nella Striscia va “fatta fino in fondo”. Ieri sera si è riunito il gabinetto di guerra, da cui i due estremisti sono estromessi: non prendono decisioni, l’unico loro potere è minacciare il premier. Se facessero crollare la coalizione perderebbero anche quello. Ieri il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha detto che sull’invasione di Rafah, l’ultima città della Striscia, non c’è nulla di deciso e anzi, la prossima settimana una delegazione israeliana è attesa a Washington. Sui negoziati, Blinken ha ripetuto la verità che in Israele conoscono bene: “La palla è nel campo di Hamas”, la proposta è seria e il gruppo deve accettarla. Israele, nonostante Ben Gvir e Smotrich, ha già accettato. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)