"Bruno, è da sette anni che sei lì"
La grossa lite tra Macron e Le Maire sui dati infelici dell'Insee, l'Istat francese
Il presidente Emmanuel Macron, e il suo ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, sono ai ferri corti da quando sono emersi i dati poco rosei dell’istituto francese di statistica sul rapporto deficit/pil: 5,5 per cento nel 2023
Parigi. “Bruno, è da sette anni che sei lì”. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il suo ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, sono ai ferri corti da quando sono emersi i dati infelici dell’Insee sul rapporto deficit/pil: 5,5 per cento nel 2023. La frase è stata riportata dal Figaro e sarebbe stata pronunciata lo scorso 20 marzo all’Eliseo, quando i risultati dell’Insee non erano ancora usciti, ma già si intuiva che le notizie non sarebbero state buone. La sfuriata contro Le Maire davanti al cerchio magico di Macron, è avvenuta, per altro, nel giorno in cui il titolare delle Finanze ha pubblicato il suo ultimo libro, “La Voie française” (Flammarion): un’uscita nelle librerie a sorpresa, che ha irritato il presidente, dove Le Maire sostiene la necessità di una riforma del modello sociale francese, suggerendo di passare da uno “stato sociale” a uno “stato protettore”. Quel “Bruno, è da sette anni che sei lì” è un modo per dire ma da che pulpito, oggi, ti permetti di dare consigli su come rilanciare la Francia se dal 2017 in poi i conti non hanno fatto altro che peggiorare.
All’Eliseo, secondo quanto riportato da Europe 1, non è all’ordine del giorno l’allontanamento di Le Maire, lui che più volte ha spinto per diventare primo ministro, facendosi forza delle sue ottime relazioni a Bruxelles, dove il suo nome, nel passato, è circolato come possibile presidente della Commissione europea. Ma il suo metodo, considerato individualista e maldestro dall’entourage di Macron, sta diventando esasperante. L’ultimo pomo della discordia è l’idea di presentare una rettifica di bilancio in Parlamento. Il capo di Bercy si era espresso a favore di questo scenario prima che Macron chiudesse la porta lunedì davanti ai pesi massimi della maggioranza. “Ma lui ha continuato ad andare avanti per la sua strada”, ha detto a Europe 1 una fonte vicina al capo dello stato, avanzando due ipotesi. “O vuole lasciare il governo per motivi politici, senza essere accusato di incapacità di gestire le finanze pubbliche… o vuole posizionarsi per prendere il posto di Gabriel Attal (come primo ministro, ndr)”. Quest’ultimo, ha provato a tranquillizzare Bruxelles e i mercati che bacchettano la Francia, dicendo che non c’è da preoccuparsi, che la “traiettoria” intrapresa dal suo esecutivo porterà il paese a ridurre il rapporto deficit/pil al 2,7 per cento entro il 2027, ossia entro la fine del secondo mandato di Macron.
Ma Moody’s e la maggior parte degli economisti giudica “improbabile” questo obiettivo. Fatto sta che per il secondo anno consecutivo la Francia è tra i paesi più indisciplinati d’Europa in termini di finanze pubbliche e le cifre dell’Insee sono persino peggiori dei calcoli dei funzionari di Bercy, che prevedevano un 4,9 per cento. “E’ assolutamente possibile realizzare risparmi sulla spesa pubblica senza attingere alle tasche dei francesi, e resto totalmente contrario a qualsiasi aumento delle tasse per i nostri connazionali”, ha dichiarato Le Maire, mantenendo la promessa del rapporto decifit/pil sotto il 3 per cento all’orizzonte 2027, ma spiegando che la Francia non potrà più essere “un open bar”. “È necessaria una presa di coscienza collettiva sul fatto che non può più essere un open bar”, ha aggiunto Le Maire.
Ieri, il ministero dell’Economia ha fatto sapere che l’obiettivo di deficit verrà alzato al 5-5,1 per cento del pil per il 2024, rispetto al target originario del 4,4 per cento. Il nuovo obiettivo richiederebbe ulteriori tagli alla spesa per 10 miliardi di euro, oltre ai 10 miliardi già annunciati a febbraio. Le forti turbolenze sull’asse Eliseo-Bercy, tra l’altro, si verificano in un momento delicato dal punto di vista politico. Fra due mesi ci sono elezioni europee, dove Valérie Hayer, la candidata di Renaissance, non ha buone prospettive. Ora viaggia attorno al 16 per cento, tallonata dal capolista dei socialisti, Raphaël Glucksmann, e a quindici punti di distanza dal leader del Rassemblement national Jordan Bardella.
Dalle piazze ai palazzi