Si scrive Iran, si legge terrore. Si scrive Israele, si legge libertà
Terrorismo, disordine, odio. Aprire gli occhi sul paese degli ayatollah per difendere non solo lo stato ebraico ma anche tutto il mondo libero
Si scrive Iran, si legge terrore. Si scrive Israele, si legge libertà. Buona parte della comunità internazionale, lo avrete notato in questi giorni, è convinta ormai da tempo che la minaccia incarnata dal regime iraniano sia un problema che riguardi Israele, e nulla di più. E anche in queste ore – nelle ore cioè che precedono quello che secondo molti osservatori è un attacco imminente a Israele, da parte dell’Iran o da parte di una delle milizie sostenute dal regime – la sensazione drammaticamente diffusa è che vi sia un grande equivoco, sull’Iran, che meriterebbe di essere illuminato, a prescindere da quella che sarà l’evoluzione del conflitto. L’equivoco è che la guerra a bassa e alta intensità combattuta dall’Iran contro Israele sia una guerra che riguarda solo gli equilibri del medio oriente e non una guerra che riguarda invece i confini del mondo libero.
L’Iran, dal 1979, anno della sua rivoluzione islamica, è un paese che ha scelto di diventare il pivot di un asse del male che alimenta disordine, che esporta terrore, che finanzia il terrorismo e che ha al centro della sua agenda politica, culturale e religiosa lo stesso desiderio che incarna la dottrina putiniana: colpire l’occidente, ridimensionare l’egemonia americana e creare un nuovo ordine globale guidato dai regimi illiberali. Israele – che l’Iran vuole colpire non per rispondere all’uccisione, un mese fa, di uno dei pasdaran del regime ma perché l’Iran vuole cancellare lo stato ebraico dalla mappa – è ancora oggi l’avamposto della resistenza contro il terrore iraniano. Ma la minaccia che l’Iran rappresenta, ormai da molto tempo, non riguarda solo Israele: riguarda tutti noi. Si è chiesto giustamente il Times di Londra qualche giorno fa perché sembra siano solo gli israeliani a prendere sul serio la minaccia iraniana. E la domanda è quantomai legittima.
Nelle ultime settimane, gli agenti iraniani non si sono limitati ad alimentare il terrore contro Israele (sempre il Times di Londra, due giorni fa, ha documentato una serie di passaggi di denaro dalle casse del regime iraniano a quelle di Hamas, dal 2014 al 2020, per un valore superiore a 200 milioni di sterline) ma hanno fatto molto altro. Hanno attaccato le navi internazionali nel Mar Rosso, con i terroristi targati houthi, che sferrano attacchi quasi quotidiani nella regione da quando gli attentati di Hamas nel sud di Israele in ottobre hanno provocato la risposta militare israeliana. Dal 7 ottobre hanno lanciato con le milizie legate all’Iran più di 170 attacchi contro le forze statunitensi in Siria, Iraq e Giordania.
Dal 7 ottobre, Hezbollah, che è la milizia più potente fra quelle sostenute dall’Iran, ha accumulato un arsenale di oltre 100.000 missili, di cui un numero crescente a guida di precisione, e che si ritiene possieda potenti missili da crociera antinave Yakhont di fabbricazione russa con una gittata di 300 chilometri, ha lanciato attacchi missilistici regolari contro gli israeliani vicino al confine libanese, a seguito dei quali sono stati evacuati quasi 100.000 civili. Dalla rivoluzione iraniana del 1979, Teheran ha poi ordinato centinaia di attacchi terroristici e omicidi in più di quaranta paesi in giro per il mondo. E come se non bastasse, nonostante le coccole delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, l’Iran è un importante fornitore di armi alla Russia (anche nella guerra contro l’Ucraina) ed è sul punto di acquisire una capacità nucleare che permetterebbe al regime di minacciare non solo l’intero medio oriente, ma anche l’occidente.
C’è chi può considerare del tutto normale e persino meritato il fatto che Israele viva da anni con 150 mila razzi e missili in Libano che si trovano lungo il confine settentrionale. C’è chi può considerare normale che il regime islamico in Iran chieda regolarmente di eliminare lo stato ebraico. C’è chi può considerare normale che vi siano gruppi terroristici come gli houthi che hanno come grido di battaglia “Allah è il più grande, morte all’America, morte a Israele” e che vogliono conquistare il cuore e i finanziamenti dell’Iran chiudendo il Mar rosso e candidandosi a colpire Israele quando richiesto. Ma chi non considera tutto questo poco normale dovrebbe forse chiedersi se, al netto del futuro di Netanyahu, non sia un dovere morale dell’occidente sostenere Israele anche su questo fronte.
Questo non significa che l’occidente dovrebbe unirsi e marciare in guerra contro l’Iran. Questo significa che l’occidente dovrebbe capire che ogni tentativo di chiudere gli occhi di fronte all’orrore del regime iraniano significa voler chiudere gli occhi non su tutto ciò che minaccia Israele ma su tutto ciò che oggi minaccia le nostre democrazie, la nostra società, il nostro occidente, la nostra libertà. E’ legittimo avere dubbi sul modo in cui Israele sta combattendo la sua guerra a Gaza, ma non è legittimo avere dubbi sul fatto che ovunque si guardi in medio oriente il punto è sempre lo stesso: il futuro della democrazia occidentale, come ha scritto Gerard Baker sul Wall Street Journal, e la capacità delle società aperte di combattere l’esportazione del terrore non in medio oriente ma nel mondo, dipendono dalla vittoria di Israele contro tutti i nemici che lo assediano non per ciò che Israele fa ma per ciò che Israele rappresenta. Si scrive Iran, si legge terrore. Si scrive Israele, si legge libertà.
I conservatori inglesi