L'attacco pesantissimo dell'Iran contro Israele è finito. Cosa succede ora

Micol Flammini

Lo stato ebraico è riuscito a bloccare l'aggressione anche grazie all'aiuto di una coalizione inedita che ha contato sul supporto di Arabia saudita e Giordania, oltre al sostegno di Stati Uniti e Gran Bretagna. I danni sono stati limitati, ma la guerra di Teheran contro Gerusalemme non è più dietro le quinte

Nella notte tra sabato e domenica, l’Iran ha lanciato centinaia di droni, missili balistici, missili da crociera contro Israele segnando la storia del primo attacco diretto di Teheran contro lo stato ebraico per rispondere all’uccisione del comandante iraniano Mohammad Reza Zahedi, morto mentre si trovava nel consolato di Damasco. L’Iran aveva giurato una vendetta, l'aveva ripetuta e annunciata, e ha deciso di lanciare un attacco diretto. Israele si aspettava una risposta, ne era certo che sarebbe arrivata, ma la prima valutazione era che Teheran avrebbe utilizzato i suoi gruppi armati nella regione per colpire, droni e missili sono stati sparati anche dallo Yemen e dal Libano, ma quello che rende diverso questo attacco è la decisione dell’Iran  di cambiare la sua politica che porta avanti da anni. 

 

Sono stati lanciati 185 droni, 36 missili da crociera, 110 missili balistici, il 99 per cento è stato intercettato, l’Iran ha rotto il suo precetto di non attaccare direttamento lo stato ebraico, la notte appena trascorsa segna la fine della guerra dietro le quinte per cui Teheran ha impiegato tempo e denaro ad addestrare gruppi armati in Libano, Yemen, Siria, Iraq ma anche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con l’intenzione di sfiancare Israele su vari fronti. La guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei che questa settimana compirà ottantacinque anni, fino a questo momento era ritenuto troppo avverso al rischio per cambiare la politica dell’Iran contro Israele. 

 

Mentre i missili raggiungevano il territorio israeliano, a protezione dello stato ebraico si è creata una coalizione inedita. Gli Stati Uniti hanno contribuito all’operazione di difesa, assieme alla Gran Bretagna, alla Giordania e l’Arabia saudita. E’ un’infrastruttura di difesa totalmente nuova che è stata significativa in funzione anti iraniana e può esserlo per il futuro della regione. Le conseguenze dell’attacco sono state limitate, un bambino è stato gravemente ferito da una scheggia, una base militare nel sud di Israele ha subìto leggeri danni, ma in una notte la storia è cambiata: gli israeliani hanno trascorso ore nei rifugi a causa di un attacco iraniano per mettersi al riparo dai missili che non sono arrivati soltanto a Tel Aviv, abituata agli attacchi, ma anche a Gerusalemme, una linea rossa. Le immagini sono forti, impressionanti, l’Iran non è più nell’ombra

 

Israele vuole reagire, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto che l’allerta rimane alta. In una conversazione avvenuta tra il presidente americano Joe Biden e il primo ministro Benjamin Netanyahu, gli Stati Uniti hanno detto che non sosterranno la reazione israeliana. Secondo il giornalista americano Barak Ravid, Biden avrebbe detto: “Oggi hai ottenuto una vittoria, accontentati”. Secondo i commentatori israeliani più cauti, la coalizione di difesa che durante la notte è intervenuta per aiutare Israele, può essere la base solida per esercitare una forte pressione anche su Hamas e far finire la guerra a Gaza: ieri il gruppo di terroristi della Striscia, mentre i missili iraniani raggiungevano le città israeliane, ha detto ancora una volta no alla proposta di un accordo sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi che tiene in prigionia da più di sei mesi.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)